venerdì 29 gennaio 2010
domenica 24 gennaio 2010
giovedì 21 gennaio 2010
DIALETTI. Ezio Raimondi "Vanno tutelati come i paesaggi"
DIALETTI. Ezio Raimondi "Vanno tutelati come i paesaggi"
GIOVEDÌ, 21 GENNAIO 2010 LA REPUBBLICA - Cultura
Il grande italianista, direttore dell´Ibc, ha promosso un progetto in Emilia Romagna per salvaguardarli: "Fanno parte della lingua di tutti, non servono a rivendicare una presunta identità"
I ricercatori girano paese per paese col registratore
"Sono un bene comune per comunicare"
L´indagine è finanziata da una legge regionale
BOLOGNA
Registratore in tasca e scarpe comode sono gli strumenti del linguista Francesco Benozzo, professore a Bologna e cacciatore di dialetti. Insieme a un collega, Andrea Pritoni, battono due province - lui il modenese, Pritoni il bolognese - in cerca di parole dialettali, antichi reperti di forme lessicali che definiscono corsi d´acqua, crinali di montagne, borghi, cascinali, filari di alberi, viottoli, scarpate. Toponimi, insomma, nomi di luoghi. Benozzo è stato da poco a Serrazzone, frazione di Fanano, provincia di Modena. Voleva accertare se l´espressione "e völta", che i vecchi usano per designare un pozzo isolato, era sopravvissuta e che uso se ne faceva. Chiacchiera con questo, chiacchiera con quello, ecco spuntare "e völta" per dire gigante. Che cosa sia nato prima, il nome per il pozzo o per la leggendaria figura, è difficile stabilirlo. Benozzo ha comunque imboccato la pista etrusca per risalire all´etimo e per riempire una casella del vasto Atlante toponomastico che l´Istituto per i Beni culturali dell´Emilia Romagna (Ibc) ha rimesso in moto grazie al fatto che la Regione ha rifinanziato una legge del 1994 che si proponeva la tutela e la valorizzazione dei dialetti.
Sono spiccioli, cinquantamila euro, ma in tempi di magra per gli investimenti culturali servono comunque a far ripartire un programma avviato da anni e interrotto più volte. Quello, appunto, di studiare e di salvaguardare i dialetti, considerati come un bene culturale, sebbene immateriale, di grande pregio, eppure soggetto a strattonamenti, che ne fanno un bastione identitario, un randello etnico da dare in testa a chi non lo parla, materia da insegnare a scuola o imporre ai professori che da Palermo si trasferiscono a Treviso. «I dialetti fanno parte di un´identità molteplice della lingua italiana, al pari dei paesaggi», dice Ezio Raimondi, grande italianista, che dal 1992 è presidente dell´Ibc. «La cadenza di molte parole dei Promessi sposi, anche dopo la risciacquatura in Arno, resta, dal punto di vista semantico, milanese. Il dialetto è un patrimonio che va tutelato, ma non per amore di conservazione o di una malcerta identità, bensì perché una lingua è un bene per comunicare».
Una legge a tutela del dialetto è stata approvata in Lombardia nel 2008. Nel 2007 in Veneto. Mentre la legge piemontese (2009) è stata impugnata dal governo presso la Corte costituzionale. Una legge ha anche il Lazio, mentre in Sicilia la legge risale al 1981. Studiare i dialetti, più o meno bene, è attività che si diffonde. Nonostante le tante dichiarazioni di morte imminente, che un linguista come Tullio De Mauro si impegna a smentire, invocando studi serissimi, ma anche la barzelletta in cui Francesco Totti, invitato a fare un esempio di gerundio del verbo avere, dice, della sua Ferrari, "a vendo", invece che "la vendo": la caduta della "l" di "la", secondo De Mauro, è fenomeno recente e attesta che il romanesco continua a produrre innovazioni.
Il programma dell´Ibc è curato da Massimo Tozzi Fontana, che arriva agli studi lessicografici dalla storia economica. Riprende vita l´Atlante, ma si prosegue a pubblicare lo strabiliante catalogo di fotografie realizzate da Paul Scheuermeier, lo studioso svizzero che indagò il mondo contadino dell´Italia centro-settentrionale tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento. Scheuermeier corredava le foto di didascalie, disegnava gli strumenti usati nelle campagne e riproduceva le espressioni dialettali che designavano oggetti e luoghi. Un primo volume di Contadini del bolognese (a cura di Tozzi Fontana insieme a Claudia Giacometti e Giorgio Pedrocco, Clueb, pagg 120, euro 20) è uscito nel marzo scorso. Altri seguiranno (ma forse solo in rete). Scheuermeier è un antesignano di Benozzo e Pritoni. L´inchiesta lo portò in provincia di Bologna a Minerbio, Tintoria, Loiano, Merlano, Savigno, Dozza. Preparò un questionario, fece dei disegni per farsi capire meglio, indossò scarpe buone e si avviò fra campagne e borghi chiedendo come chiamavano quella vanga, quell´aratro, quella roncola. La sera annotava le impressioni su un quaderno.
La ricerca dell´Ibc è andata avanti negli anni. Si è lavorato con le Province, in un ambiente fertile di poesia dialettale - bastino i nomi di Tonino Guerra e di Raffaello Baldini, fra gli altri. Tozzi Fontana ha studiato le parole legate al ciclo del latte (insieme allo storico Massimo Montanari) e ha curato i repertori lessicali della cantieristica navale (in collaborazione con Fabio Foresti).
Benozzo va in giro per osterie del modenese dall´Abetone fino alle pendici del Cimone. E anche ai funerali. I toponimi più interessanti sono quelli di montagna. In pianura quelli che designano poggi isolati o piccoli laghi. Ma il locale è solo una parte. «Molti nomi di luoghi rimandano a pericoli o paure», spiega Benozzo, «ed espressioni simili si rintracciano in regioni confinanti, ma persino in Galizia o fra gli aborigeni australiani. Un esempio? Il lago Scaffaiolo è chiamato "e ziun", che significa "lo zione", il grande zio, una figura minacciosa. Nella toponomastica arcaica parole analoghe sono frequenti, segno che quel procedimento di nominazione è diffuso, attinge a caratteri antropologici che non hanno nulla di etnico».
I dialetti non sono per niente esclusivi, ma strumento di dialogo. Insiste Raimondi: «Gadda aveva in mente una lingua continuamente ravvivata dall´incremento dialettale e parlava di "vivente polipaio dell´umana comunicativa"». «La pluralità linguistica non è un accidente stravagante», spiega De Mauro, «ma un fatto fisiologico per la specie e le comunità umane. Una cattiva scuola o provvedimenti stolidi possono tentare di soffocarla, ma non riescono a spegnerla senza spegnere l´umanità stessa».
GIOVEDÌ, 21 GENNAIO 2010 LA REPUBBLICA - Cultura
Il grande italianista, direttore dell´Ibc, ha promosso un progetto in Emilia Romagna per salvaguardarli: "Fanno parte della lingua di tutti, non servono a rivendicare una presunta identità"
I ricercatori girano paese per paese col registratore
"Sono un bene comune per comunicare"
L´indagine è finanziata da una legge regionale
BOLOGNA
Registratore in tasca e scarpe comode sono gli strumenti del linguista Francesco Benozzo, professore a Bologna e cacciatore di dialetti. Insieme a un collega, Andrea Pritoni, battono due province - lui il modenese, Pritoni il bolognese - in cerca di parole dialettali, antichi reperti di forme lessicali che definiscono corsi d´acqua, crinali di montagne, borghi, cascinali, filari di alberi, viottoli, scarpate. Toponimi, insomma, nomi di luoghi. Benozzo è stato da poco a Serrazzone, frazione di Fanano, provincia di Modena. Voleva accertare se l´espressione "e völta", che i vecchi usano per designare un pozzo isolato, era sopravvissuta e che uso se ne faceva. Chiacchiera con questo, chiacchiera con quello, ecco spuntare "e völta" per dire gigante. Che cosa sia nato prima, il nome per il pozzo o per la leggendaria figura, è difficile stabilirlo. Benozzo ha comunque imboccato la pista etrusca per risalire all´etimo e per riempire una casella del vasto Atlante toponomastico che l´Istituto per i Beni culturali dell´Emilia Romagna (Ibc) ha rimesso in moto grazie al fatto che la Regione ha rifinanziato una legge del 1994 che si proponeva la tutela e la valorizzazione dei dialetti.
Sono spiccioli, cinquantamila euro, ma in tempi di magra per gli investimenti culturali servono comunque a far ripartire un programma avviato da anni e interrotto più volte. Quello, appunto, di studiare e di salvaguardare i dialetti, considerati come un bene culturale, sebbene immateriale, di grande pregio, eppure soggetto a strattonamenti, che ne fanno un bastione identitario, un randello etnico da dare in testa a chi non lo parla, materia da insegnare a scuola o imporre ai professori che da Palermo si trasferiscono a Treviso. «I dialetti fanno parte di un´identità molteplice della lingua italiana, al pari dei paesaggi», dice Ezio Raimondi, grande italianista, che dal 1992 è presidente dell´Ibc. «La cadenza di molte parole dei Promessi sposi, anche dopo la risciacquatura in Arno, resta, dal punto di vista semantico, milanese. Il dialetto è un patrimonio che va tutelato, ma non per amore di conservazione o di una malcerta identità, bensì perché una lingua è un bene per comunicare».
Una legge a tutela del dialetto è stata approvata in Lombardia nel 2008. Nel 2007 in Veneto. Mentre la legge piemontese (2009) è stata impugnata dal governo presso la Corte costituzionale. Una legge ha anche il Lazio, mentre in Sicilia la legge risale al 1981. Studiare i dialetti, più o meno bene, è attività che si diffonde. Nonostante le tante dichiarazioni di morte imminente, che un linguista come Tullio De Mauro si impegna a smentire, invocando studi serissimi, ma anche la barzelletta in cui Francesco Totti, invitato a fare un esempio di gerundio del verbo avere, dice, della sua Ferrari, "a vendo", invece che "la vendo": la caduta della "l" di "la", secondo De Mauro, è fenomeno recente e attesta che il romanesco continua a produrre innovazioni.
Il programma dell´Ibc è curato da Massimo Tozzi Fontana, che arriva agli studi lessicografici dalla storia economica. Riprende vita l´Atlante, ma si prosegue a pubblicare lo strabiliante catalogo di fotografie realizzate da Paul Scheuermeier, lo studioso svizzero che indagò il mondo contadino dell´Italia centro-settentrionale tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento. Scheuermeier corredava le foto di didascalie, disegnava gli strumenti usati nelle campagne e riproduceva le espressioni dialettali che designavano oggetti e luoghi. Un primo volume di Contadini del bolognese (a cura di Tozzi Fontana insieme a Claudia Giacometti e Giorgio Pedrocco, Clueb, pagg 120, euro 20) è uscito nel marzo scorso. Altri seguiranno (ma forse solo in rete). Scheuermeier è un antesignano di Benozzo e Pritoni. L´inchiesta lo portò in provincia di Bologna a Minerbio, Tintoria, Loiano, Merlano, Savigno, Dozza. Preparò un questionario, fece dei disegni per farsi capire meglio, indossò scarpe buone e si avviò fra campagne e borghi chiedendo come chiamavano quella vanga, quell´aratro, quella roncola. La sera annotava le impressioni su un quaderno.
La ricerca dell´Ibc è andata avanti negli anni. Si è lavorato con le Province, in un ambiente fertile di poesia dialettale - bastino i nomi di Tonino Guerra e di Raffaello Baldini, fra gli altri. Tozzi Fontana ha studiato le parole legate al ciclo del latte (insieme allo storico Massimo Montanari) e ha curato i repertori lessicali della cantieristica navale (in collaborazione con Fabio Foresti).
Benozzo va in giro per osterie del modenese dall´Abetone fino alle pendici del Cimone. E anche ai funerali. I toponimi più interessanti sono quelli di montagna. In pianura quelli che designano poggi isolati o piccoli laghi. Ma il locale è solo una parte. «Molti nomi di luoghi rimandano a pericoli o paure», spiega Benozzo, «ed espressioni simili si rintracciano in regioni confinanti, ma persino in Galizia o fra gli aborigeni australiani. Un esempio? Il lago Scaffaiolo è chiamato "e ziun", che significa "lo zione", il grande zio, una figura minacciosa. Nella toponomastica arcaica parole analoghe sono frequenti, segno che quel procedimento di nominazione è diffuso, attinge a caratteri antropologici che non hanno nulla di etnico».
I dialetti non sono per niente esclusivi, ma strumento di dialogo. Insiste Raimondi: «Gadda aveva in mente una lingua continuamente ravvivata dall´incremento dialettale e parlava di "vivente polipaio dell´umana comunicativa"». «La pluralità linguistica non è un accidente stravagante», spiega De Mauro, «ma un fatto fisiologico per la specie e le comunità umane. Una cattiva scuola o provvedimenti stolidi possono tentare di soffocarla, ma non riescono a spegnerla senza spegnere l´umanità stessa».
sabato 16 gennaio 2010
domenica 10 gennaio 2010
Si recuperano i sentieri dalle Pizzorne ai monti Pisani
Si recuperano i sentieri dalle Pizzorne ai monti Pisani
10 gennaio 2010, IL TIRRENO LUCCA
Un percorso di 180 chilometri con un anello per mountain bike
Sono circa quattro anni che l’amministrazione guidata dal sindaco Giorgio Del Ghingaro lavora al recupero dei vecchi sentieri che solcano il Capannorese con il progetto che è stato intitolato “Dalle Pizzorne ai monti Pisani”.
Una rete di stradine che si snodano tra ville, vigneti e canali e che per anni sono stati utilizzati come vie di comunicazioni tra le varie frazioni dell’ampio territorio.
Sono 95 i chilometri di sentieri che il Comune intende recuperare nella zona nord.
Otto percorsi, prevalentemente ad anello andranno a coprire il territorio da Marlia fino al paese di San Martino in Colle presso il famoso quercione di Pinocchio.
È previsto, inoltre, un anello per mountain bike che, partendo da Marlia, unirà tutte le ville fino a villa Torrigiani.
La rete della zona nord dovrebbe poi andare ad unirsi a quella della zona sud, ovvero dei monti Pisani.
A collegare le due aree una serie di percorsi ricavati dal recupero delle vecchie redole, ovvero le stradine sterrate che costeggiano i corsi d acqua della Piana.
In totale, a progetti uniti, il Comune di Capannori sarà solcato da una rete di circa 180 chilometri si sentieri che collegheranno l’estremità nord (le Pizzorne) con quella sud (i monti Pisani).
A.B.
10 gennaio 2010, IL TIRRENO LUCCA
Un percorso di 180 chilometri con un anello per mountain bike
Sono circa quattro anni che l’amministrazione guidata dal sindaco Giorgio Del Ghingaro lavora al recupero dei vecchi sentieri che solcano il Capannorese con il progetto che è stato intitolato “Dalle Pizzorne ai monti Pisani”.
Una rete di stradine che si snodano tra ville, vigneti e canali e che per anni sono stati utilizzati come vie di comunicazioni tra le varie frazioni dell’ampio territorio.
Sono 95 i chilometri di sentieri che il Comune intende recuperare nella zona nord.
Otto percorsi, prevalentemente ad anello andranno a coprire il territorio da Marlia fino al paese di San Martino in Colle presso il famoso quercione di Pinocchio.
È previsto, inoltre, un anello per mountain bike che, partendo da Marlia, unirà tutte le ville fino a villa Torrigiani.
La rete della zona nord dovrebbe poi andare ad unirsi a quella della zona sud, ovvero dei monti Pisani.
A collegare le due aree una serie di percorsi ricavati dal recupero delle vecchie redole, ovvero le stradine sterrate che costeggiano i corsi d acqua della Piana.
In totale, a progetti uniti, il Comune di Capannori sarà solcato da una rete di circa 180 chilometri si sentieri che collegheranno l’estremità nord (le Pizzorne) con quella sud (i monti Pisani).
A.B.
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