CORRIERE DI COMO - 26/03/2008
In un libro tutti i misteri del Lario. Leggende e tradizioni popolari.
Enigmi antichi e più recenti con streghe e diavoli
di Andrea Bambace
«Si narra che». La formula, premessa a favole, miti e leggende, avverte che il racconto potrebbe essere frutto anche solo della fantasia. Basta usare quel «si narra che», ed ecco una piccola Atlantide sommersa sotto le rive di Lenno, una chiesa costruita a Gravedona da un demonio ingannato da un santo, folletti e uomini selvaggi che infestano i boschi dell'Altolario, una cascata a Torno che congiunge il Lario con i fiumi infernali.
Federico Crimi e Giulio Mauro Facchetti hanno raccolto tutti gli enigmi del territorio e li hanno riportati ne Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti.
Il libro è pane per la bocca degli amanti del mistero: un intero capitolo è dedicato alla provincia di Como. Non mancano i racconti che si rifanno alle testimonianze dello storico Cesare Cantù ma, sfogliando le pagine, si leggono miti e leggende ereditati da chi - ai tempi in cui ancora la scienza spiegava poco o nulla - si affidava a misteriose tradizioni per giustificare una 'sorgente a intermittenza' o il tetro profilo di una montagna.
Tempi in cui, a Blevio, le Narióla - grandi pietre infisse nel terreno quasi verticalmente - si dicevano fossero state lanciate sulla terra da un diavolo giocherellone e innocuo.
Ad Albavilla, invece, l'enorme fessura del Buco del Piombo ha sempre suscitato misteri e curiosità: «in molti di questi 'buchi' - si legge nel libro - le credenze popolari identificavano le abitazioni di pagani o selvaggi».
A Civenna, salendo dal Pian Rancio si raggiunge la via Pietra Luna, chiamata così perché porta a incontrare la Pietra Luna, un masso erratico di roccia metamorfica che probabilmente arriva dalla Val Malenco. Fu al centro di numerose diatribe di confine tra Bellagio e il feudo abbaziale di Civenna. Opere di demoni, diavoli e streghe sarebbero poi le incisioni e le coppelle che appaiono nel 'Masso della strega', situato nel parco della Spina Verde a Como.
Affascinante è anche la leggenda della chiesa di Sant'Antonio di Gravedona (probabilmente la storia fa riferimento alla cripta di San Vincenzo) e il patto con il diavolo.
La colonna mancante sarebbe da ricondurre a uno sgarbo nei confronti di un demonio. Il santo aveva pattuito con il diavolo che, se avesse costruito una chiesa, gli avrebbe permesso di prendere il primo avventore della nuova basilica. Il diavolo rispettò i patti, e - a modo suo - anche il santo: fece entrare per primo in chiesa un cane.
Il demonio s'infuriò, e abbracciando una colonna si inabissò, creando un foro impossibile da tappare.
Più nota - ma non meno intrigante - è la leggenda della piccola Atlantide sprofondata tra le acque del golfo di Venere, davanti a Lenno. Nei giorni ventosi si sentirebbe ancora il rintocco della campana della città sommersa; il libro spiega che il rintocco potrebbe simboleggiare un monito agli uomini affinché non sottovalutino le forze incontrollabili della natura.
Dalla regina Teodolinda 'rabdomante' che scopre la fonte a intermittenza del Lambro (Magreglio) si passa a un'altra donna, meno nota, la fanciulla Ghita di Moltrasio. Rincasando, una notte venne assalita da un contrabbandiere: scappò su una rupe, l'aggressore la raggiunse e lei, dopo essersi votata alla Madonna, si lanciò, ma rimase impigliata tra gli alberi e si salvò. Il contrabbandiere morì e «ancor la sera vedesi un fuoco errare sul quel greppo (dirupo, ndr), segno infernale dell'inverecondo».
C'era poi un tempo in cui Porlezza era infestata da giganti «orridi, con i capelli pari a un roveto, gli occhi infossati di sangue, i denti sporgenti e certi muscoli che avrebbero fatto a pezzi un vitello».
I titani non brillavano in furbizia e nonostante razziassero bestiame e farina, gli indigeni riuscivano a convivere con loro: quando, però, iniziarono a mangiare bambini, la mamma del neonato rapito pregò il Cielo di vendicarla, e sul monte Garzirola una frana li seppellì.
Vicino a Porlezza, a San Bartolomeo Val Cavargna, le leggende parlano di Bragöla e Pelus di Kongau: i primi sono folletti con occhi luminosi e braccia lunghe, pelosi, velocissimi a intrufolarsi ovunque. Emettono versi simili a borbottii, si divertono a terrorizzare i viandanti ma in cambio di un po' di cibo aiutano qualche contadino. I 'Pelus' sarebbero invece veri e propri uomini dei boschi, villosi e ricoperti di peli animali, depositari di una sapienza selvaggia e agreste, in grado di aiutare gli uomini a falciare i prati nei pendii scoscesi. Ma la figura più terrificante è un animale del bestiario fantastico, che terrorizzava l'immaginazione anche dei comaschi: il Gallo Basilisco.
Poco più grosso di un ramarro, pelle scura e squamata, cresta in testa, sulla schiena un'altra dura e seghettata e due ali da pipistrello, solo il girasole poteva allontanarlo. Nasceva dall'uovo di un vecchio gallo deposto sul letame e covato da un rospo o una rana. Con la lingua bifida richiamava l'attenzione di uomini e animali. Con lo sguardo li paralizzava. Col veleno li uccideva. Ma prima di colpire a morte, lasciava la vittima paralizzata per ore godendo del terrore inflitto. O almeno, così «si narra».