Il Sole 24 Ore, 04/03/2001
Carnevale romano coi moccoletti
Ada Masoero
(...)
"Carnevale Romano", una festa oggi perduta ma che nella Roma papalina, in cui il governo civile coincideva con l'autorità religiosa, assumeva un ruolo cruciale di trasgressione autorizzata e di rovesciamento del mondo. A quella festa dionisiaca e violenta (specie nella celebre "corsa dei Barberi", cavalli selvaggi che venivano dall'Africa), popolaresca e sboccata, in cui confluivano memorie dei Saturnali dell'antica Roma, prendeva parte tutto il popolino, mischiato alle grandi famiglie della nobiltà romana: tutti mascherati, sovvertivano per otto giorni le rigide gerarchie sociali e i nobili si vestivano da popolani, i poveri da gran signori servendosi di ogni sorta di ornamento. Una settimana di follie che si chiudeva con la pittoresca "festa dei moccoletti", con cui si celebravano le esequie del Carnevale. Per assistere alle sue feste, pubbliche e private (tutti i palazzi si aprivano a balli sfavillanti e cene sontuose) giungevano a Roma augusti visitatori dall'Europa intera. E l'usanza perdurò per tutto l'800, fino a quando il più serioso governo dell'Italia unitaria, in età umbertina, non pose fine a questa festa secolare, spinto soprattutto dagli incidenti mortali che ogni anno venivano provocati dalla folle corsa dei cavalli "Barberi" lungo il Corso (che proprio di qui prese il suo nome): le bestie infatti, prive di fantino, portavano in groppa bisacce irte di aculei che li pungolavano ferocemente, dalla "mossa" iniziale in piazza del Popolo, sino alla "ripresa" in piazza Venezia (allora piazza San Marco). Di quelle feste sfrenate i viaggiatori del tempo, da Goethe a Dickens, da Andersen a Gregorovius, hanno lasciato pagine piene di divertito stupore, ma i documenti più puntuali e felici sono quelli dei tanti pittori che sino a tutto l'800 ne documentarono gli aspetti pittoreschi. E proprio loro sono i protagonisti della mostra, che guarda all'800, curata dallo stesso Paolo Antonacci con Maurizio Fagiolo dell'Arco: circa 35 opere fra le quali si impongono i due acquerelli di Achille Pinelli (1809-1841), con la Mascherata al Corso e il Carnevale di Roma, e il dipinto formicolante di maschere del Carnevale in piazza Colonna di Carl Max Quaedvlieg (1823-1874), con i drappi e i tappeti che pendono dalle finestre e dai balconi affollati, i carri fioriti, le maschere dei Pulcinella e degli Arlecchini. Della corsa dei Barberi, prediletta da Géricault, sono in mostra due fascinosi acquerelli di Ippolito Caffi (1809-1866), raffiguranti La Mossa a piazza del Popolo e La corsa a palazzo Fiano, mentre di Pietro Sassi (1834-1905) è esposto un olio con La partenza dei Barberi. Incantevole anche il dipinto del russo Pimen Nikitic Orlov La festa dei moccoletti, con una maliziosa scena di seduzione (chi riusciva a spegnere il lume altrui poteva togliergli la maschera). A completare la mostra, sono poi esposti alcuni degli editti con cui i Papi cercavano, blandamente, di regolamentare la festa, come quello che permetteva sì ma proibiva.
Carnevale romano coi moccoletti
Ada Masoero
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"Carnevale Romano", una festa oggi perduta ma che nella Roma papalina, in cui il governo civile coincideva con l'autorità religiosa, assumeva un ruolo cruciale di trasgressione autorizzata e di rovesciamento del mondo. A quella festa dionisiaca e violenta (specie nella celebre "corsa dei Barberi", cavalli selvaggi che venivano dall'Africa), popolaresca e sboccata, in cui confluivano memorie dei Saturnali dell'antica Roma, prendeva parte tutto il popolino, mischiato alle grandi famiglie della nobiltà romana: tutti mascherati, sovvertivano per otto giorni le rigide gerarchie sociali e i nobili si vestivano da popolani, i poveri da gran signori servendosi di ogni sorta di ornamento. Una settimana di follie che si chiudeva con la pittoresca "festa dei moccoletti", con cui si celebravano le esequie del Carnevale. Per assistere alle sue feste, pubbliche e private (tutti i palazzi si aprivano a balli sfavillanti e cene sontuose) giungevano a Roma augusti visitatori dall'Europa intera. E l'usanza perdurò per tutto l'800, fino a quando il più serioso governo dell'Italia unitaria, in età umbertina, non pose fine a questa festa secolare, spinto soprattutto dagli incidenti mortali che ogni anno venivano provocati dalla folle corsa dei cavalli "Barberi" lungo il Corso (che proprio di qui prese il suo nome): le bestie infatti, prive di fantino, portavano in groppa bisacce irte di aculei che li pungolavano ferocemente, dalla "mossa" iniziale in piazza del Popolo, sino alla "ripresa" in piazza Venezia (allora piazza San Marco). Di quelle feste sfrenate i viaggiatori del tempo, da Goethe a Dickens, da Andersen a Gregorovius, hanno lasciato pagine piene di divertito stupore, ma i documenti più puntuali e felici sono quelli dei tanti pittori che sino a tutto l'800 ne documentarono gli aspetti pittoreschi. E proprio loro sono i protagonisti della mostra, che guarda all'800, curata dallo stesso Paolo Antonacci con Maurizio Fagiolo dell'Arco: circa 35 opere fra le quali si impongono i due acquerelli di Achille Pinelli (1809-1841), con la Mascherata al Corso e il Carnevale di Roma, e il dipinto formicolante di maschere del Carnevale in piazza Colonna di Carl Max Quaedvlieg (1823-1874), con i drappi e i tappeti che pendono dalle finestre e dai balconi affollati, i carri fioriti, le maschere dei Pulcinella e degli Arlecchini. Della corsa dei Barberi, prediletta da Géricault, sono in mostra due fascinosi acquerelli di Ippolito Caffi (1809-1866), raffiguranti La Mossa a piazza del Popolo e La corsa a palazzo Fiano, mentre di Pietro Sassi (1834-1905) è esposto un olio con La partenza dei Barberi. Incantevole anche il dipinto del russo Pimen Nikitic Orlov La festa dei moccoletti, con una maliziosa scena di seduzione (chi riusciva a spegnere il lume altrui poteva togliergli la maschera). A completare la mostra, sono poi esposti alcuni degli editti con cui i Papi cercavano, blandamente, di regolamentare la festa, come quello che permetteva sì ma proibiva.