giovedì 28 febbraio 2008

Col “Ciamar Marso” inizia l’anno della Serenissima

Grandi celebrazioni e tradizionali falò nei comuni del Vicentino
Col “Ciamar Marso” inizia l’anno della Serenissima
Primo marzo, Capodanno veneto: una ricorrenza che la Provincia di Vicenza ha inteso celebrare, oltre che con le manifestazioni di “Ciamar Marso”, ricca rassegna di eventi organizzata in collaborazione con 24 Comuni della fascia pedemontana e montana, anche con l’approvazione di una mozione presentata dal consigliere provinciale Bortolino Sartore, esponente di Liga Veneta Repubblica.
Il 1° marzo è sempre stato considerato nella storia della Repubblica Veneta come il Capodanno. Fissato originariamente il 25 marzo, giorno della fondazione di Venezia ma anche, per i credenti, giorno dell’annunciazione del Signore nonché, stando a una leggenda greca, giorno della creazione del mondo, il Capodanno fu poi spostato al primo giorno del mese per comodità di calcolo.
La tradizione del “ciamar marso” o “brusar marso” è legata all’antico rito delle feste arcaiche di inizio stagione, che avevano lo scopo di evocare e celebrare il risveglio della natura, di propiziare la fertilità e l’abbondanza. In queste feste vi era un vero e proprio “fidanzamento pubblico” che si sviluppava in diversi modi, così come l’antica festa dell’epoca romana del Calendimarzo. Con le calende di marzo iniziava l’anno civile romano, collegato a feste di tipo propiziatorio e purificatorio, e più tardi anche l’anno civile della Repubblica di Venezia iniziava il primo di marzo.
In tutta la Venetia i riti e i festeggiamenti del capodanno veneto assumono
molti nomi diversi e sono celebrati in modi differenti. “Bati marso”, “El batare marso” o “Ciamar marso” sono i termini più diffusi e indicano il rito compiuto dai ragazzini, per sei sere attorno al Capodanno, di correre per il paese battendo violentemente “bussolotti”, lamiere, pentole e coperchi. “El bruxamarso”, “Piroea” o “El vivò marso” è un rito diffuso un po’ dappertutto ma trova la sua apoteosi nella Pedemontana dove dopo il tramonto i fuochi ornano i crinali delle montagne creando uno scenario spettacolare.
L’organizzazione dei falò e della serata di festa sono affidati ai Comuni, che si sono già attivati coinvolgendo la Protezione Civile, il gruppo Alpini, la Pro Loco e altre associazioni. Saranno spente le luci pubbliche e in ogni paese sarà acceso un enorme falò, uno dopo l’altro, e intorno al fuoco si celebrerà, come un tempo, una festa conviviale.

da "La Padania" del 28/02/2008

«Bater marso» annuncia l’arrivo della primavera

L'Arena, Giovedì 28 Febbraio 2008

SAN GIOVANNI LUPATOTO. Domani è di scena la tradizione: 300 ragazzi corrono per le vie del paese trascinando file di barattoli legati tra loro
«Bater marso» annuncia l’arrivo della primavera



Domani torna a San Giovanni Lupatoto la tradizionale festa del «bater marso». L’appuntamento che si ripete da tempo immemorabile vede scendere in piazza, nella sera dell’ultimo giorno di febbraio, i ragazzi del paese che corrono per le vie trascinando lunghe file di barattoli uniti da filo di ferro e li percuotono con bastoni. Il fracasso prodotto dalla percussione, secondo la credenza popolare, scaccia la stagione fredda e annuncia l’arrivo della primavera. La Pro Loco ha da alcuni anni rivitalizzato l’appuntamento raccogliendo la partecipazione di 300 ragazzi, molti dei quali accompagnati dai genitori. L’iniziativa gode anche del sostegno dell’assessorato comunale alla cultura guidato da Gino Fiocco. Venerdì l’appuntamento è alle 19.30 quando partiranno quattro diversi cortei dai punti estremi del paese che corrispondono anche con i quartieri storici.
Il primo corteo partirà dal quartiere della Vetraria, con punto di raccolta degli aderenti vicino al canale Milani. Il corteo percorrerà la pista ciclabile di via Garofoli , via Pasubio, via Carso, via Ca' dei Sordi, via Volta, via Madonnina e arrivo in piazza Umberto, davanti al centro culturale, dove c’è il punto di concentrazione dei vari cortei. Il secondo corteo è quello del quartiere del Corno. Questo quartiere prende il nome dal contorno tracciato (simile appunto a un corno) di via Porto, la strada che conduce dalla piazza all’Adige. Il percorso del corteo sarà da via Garibaldi, via Porto e piazza Umberto. Il terzo corteo, che rappresenta il quartiere della Punta e della zona sud est del paese, partirà da via Belluno e percorrerà le vie Trieste, Verona, Leopardi, Marconi, il viale pedonale della piazza con arrivo sempre in piazza Umberto. Il quarto corteo partirà da via Manara, nel quartiere del Pozzo, frazione ormai collegata al capoluogo. Percorrerà le vie Cervi, Sinigaglia, Battisti, Olimpia (controstrada), XXIV Maggio, IV Novembre, Ciccarelli, Vittorio Veneto, I Maggio, Foscolo, per confluire quindi nella piazza centrale. La conclusione della manifestazione è prevista alle scuole medie del Lodegario, dove ci sarà un rinfresco per tutti i partecipanti organizzato dalla Pro Loco. La stessa Pro Loco invita chi vuole partecipare alla manifestazione popolare del Bater Marso a procurasi per tempo i contenitori in metallo infilandoli con filo di ferro per non mettere in crisi l’organizzazione all'ultimo minuto. «Quello del Bater Marso è un appuntamento che aggrega e fa divertire i ragazzi in modo semplice e originale», ha scritto Fabio Fasoli della Pro Loco, «è la prova evidente che basta cercare un po' nella nostra storia per recuperare frammenti di cultura che il consumismo cancella». R.G.

La festa della Vecchia

Oggi frutta secca per i bimbi e dolci in pasticceria
La festa della Vecchia


fano - Cade oggi la festa della Vecchia, la festa tradizionale di mezza quaresima che permette al popolo di darsi una pausa dai rigori di tipo penitenziale. Sembra comunque che la sua origine risalga ai tempi del paganesimo, quando si celebravano i riti dell’avvento della primavera. La Vecchia rappresenterebbe metaforicamente l’inverno che viene segato come un ciocco secco per far rinascerei frutti della buona stagione. Frutti che vengono distribuiti ai bambini che assistono alla festa. Si tratta di una ricorrenza caduta un po’ in disuso nei tempi moderni, ma che veniva festeggiata con grande partecipazione non più tardi di cinquant’anni fa, quando ai bambini si regalava un carriolino, che poi i vicini di casa riempivano di cose buone: un maritozzo, una carruba, una “cumbriella” o una mela cotta, una ciambellina, un pugno di sementine o di castagne secche, un piccolo rotolo di liquirizia. Sapori di una volta che è difficile ritrovare al giorno d’oggi. Oggi, infatti la carriolina non si usa più, dato che e i dolci, ben più elaborati, si mangiano tutto l’anno. Eppure chi vuole rivivere l’atmosfera di un tempo può rivolgersi al Caffè del Pasticciere, dove Stefano Ceresani, attento com’è al recupero delle tradizioni cittadine, ha riproposto le carriole di un tempo dove si ritrovano gli antichi sapori e con essi le immagini della giovinezza.

dal "Corriere Adriatico", del 28/02/2008

martedì 26 febbraio 2008

tornano in Romagna i fuochi magici, i "Lom a merz"

AGI - Agricoltura: tornano in Romagna i fuochi magici, i "Lom a merz"
http://www.agi.it/food/notizie/200802201627-eco-rt11121-art.html

Ferrara, 20 feb - Tornano in Romagna i fuochi magici delle tradizioni
contadine, i famosi "lom a merz". La Romagna e' una terra storicamente
votata all'agricoltura. E l'agricoltura, come molte altre attivita'
"all'aperto" era, ed e' tutt'ora, soggetta alle avversita'
metereologiche. Cosi' la tradizione contadina del passato voleva che
per scongiurare la malasorte venissero fatti dei riti propiziatori,
come i fuochi magici o, come si dice da queste parti, i "Lo'm a Merz"
(i lumi di marzo). L'accensione di falo' propiziatori intendeva
celebrare l'arrivo della primavera e invocare un'annata favorevole per
il raccolto nei campi, ricacciando il freddo e il rigore dell'inverno.
Il suo significato era quello di incoraggiare e salutare l'arrivo
della bella stagione, bruciando i rami secchi e i resti delle
potature. Per questa occasione, ci si radunava nelle aie, si
intonavano canti e si danzava intorno ai fuochi (al fugare'n),
mangiando, bevendo e soprattutto divertendosi. La tradizione di fare
"lo'm a merz" si e' protratta in Romagna fino agli anni '30, perdendo
poi definitivamente il suo carattere di festa dopo la guerra.

Riscoprendo e riproponendo questa antica ed affascinante tradizione,
conviviale e magica al tempo stesso, in provincia di Ravenna, Forli' e
Ferrara dal 27 febbraio al 3 marzo 2008 prendera' vita l'8° edizione
dei "Lo'm a Merz".

Organizzato dall'Associazione "Il Lavoro dei Contadini" l'evento
prendera' vita nelle aie delle case contadine dei Comuni di: Faenza,
Brisighella, Riolo Terme, Casola Valsenio, Lugo, Russi, Bagnacavallo,
Ravenna, Alfonsine, Fusignano (tutti in provincia di Ravenna)
Modigliana (Forli'-Cesena) e Argenta (Ferrara). Qui verranno accesi
dei grandi falo' attorno ai quali si svolgeranno iniziative ed
incontri sulla tradizione e la cultura contadina romagnola, fra balli,
spettacoli, mostre degli attrezzi della civilta' contadina e i
mestieri "scomparsi", mentre sara' possibile degustare vini e cibi
della prelibata enogastronomia locale. Partecipano all'iniziativa,
infatti: scrittori, cuochi, sommelier, artigiani, attori, musicisti,
cantastorie, antropologi che intratterranno il pubblico. Girando nelle
campagne romagnole in questo periodo "a cavallo" fra febbraio e marzo,
al calare del sole sara' quindi possibile scorgere in lontananza la
luce calda dei grandi falo', con tanta gente raccolta attorno per
rivivere la storia delle origini e per sognare qualche minuto.(AGI)

Tiaris di Cjanal del Fier (Terre del Canal del Ferro) e l'orizzonte mitico del Canal del Ferro

Tiaris di Cjanal del Fier (Terre del Canal del Ferro) e l'orizzonte mitico del Canal del Ferro
http://www.natisone.it/miti/canal_3.htm

di Domenico Zannier

Stretto e incassato tra le rocce ferrigne il Canal del Ferro si
allarga di tanto in tanto in diramazioni vallive laterali e conche di
intenso effetto paesaggistico. Lo scenario di Moggio è uno dei più
pittoreschi dell'intero arco alpino. Resiutta conduce agli assolati
pendii di Resia. Chiusaforte apre con la Val Raccolana verso Sella
Nevea. Il trono regale del Montasio si specchia nel Fella a Dogna con
i rosei riflessi di una eterna aurora. Pontebba corona la valle e
introduce alla Val Canale dai vasti boschi, preludio alle estese valli
della Carinzia lacustre. Per il Canal del Ferro sono passati popoli e
popoli e tutti hanno lasciato le loro tracce toponomastiche. Ma dopo
duemila anni è notevole il fatto che persista una latinità celtica, a
dispetto di tutte le invasioni ricorrenti. Giuseppe Marchetti parlava
di itatinizzazione della vallata, ma a mio avviso i tratti di
antichissima conservatività linguistica inducono a una presenza
linguistica molteplice e di confronto in cui di nuovo è prevalso il
discorso latino. Prova ne sia la conservazione nel Canal del Ferro,
come in poche altre aree del friulano rilevabili in Carnia, del nesso
"int" per il latino "ant" constatabile negli esiti "vèvint, vignivint"
(latino "habebant", "veniebant" ecc.). La "t" finale è caduta in tutto
il territorio ladino.

Dicevamo che il confronto tra più culture ha portato senza dubbio a
una conservatività da un lato e a una evoluzione dall'altro e inoltre
ha arricchito il bagaglio mitico e leggendario delle tradizioni
popolari. Già Michele Gortani rilevava il ricco folclore narrativo
delle genti del Canal del Ferro, di cui rivelava le affinità con
analoghi esiti mitici della Carnia e dell'intero Friuli, staccandoli
nel contempo dal mondo di Resia e della Val Canale, contigui, ma
etnicamente diversi. Di striis e di orcui (streghe e orchi) è pieno
l'universo popolare. E così pure di gnomi, folletti, maghi, di esseri
primitivi, di diavoli. Un grande rilievo hanno le aganis, specie di
ninfe o nàiadi, i cui connotati differiscono da quelli ipotizzati in
altre parti della Regione. Un tratto caratteristico è quello di avere
i piedi a rovescio e talvolta anche i polpacci. Sono dipinte come
vecchie e brutte, quasi confondendole con le streghe, o bionde e
bianche e pure belle. Possono avere anche una loro regina ornata
d'oro. Viene attribuita alle aganis anche una sorta di antropofagia,
come fossero delle sirene omeriche, che rapiscono gli uomini.

Sarebbe utile accostare questi particolari mitici ad altre culture per
un più approfondito discorso delle origini. La lista si allunga con
l'orco sempre localizzato in un determinato ambiente: la Val
Raccolana, il Fontanon, Casasola, Povici (S¸ tâi), il Monte Amariana.
La sua tipologia non presenta aspetti diversificati dal resto del
territorio friulano. Stessa sorte tocca al vèncul, personificazione
dell'incubo notturno. Quando arriviamo agli "Spiriti" ci troviamo di
fronte a un mondo di proiezione ultraterrena della vita, quasi un
intreccio tra mondo visibile e invisibile, tra forze di personaggi
evocati dalle tenebre del mistero eppure radicati nella realtà
paesana. La Bâbeberte e la Mâri da le gnot ci rituffano nelle paure
della preistoria. Anche se in seguito adoperati per i fanciulli,
questi miti non sono nati per il mondo infantile. Nell'evoluzione dei
millenni sono stati come derubricati e declassificati. E che dire di
striis e striaments (streghe e stregonerie)? Siamo in compagnia di un
universo culturale che abbraccia l'area mediterranea come quella
nordica e alpi-na, senza distinzione di gruppi linguistici. È la
rimozione della donna, il cui potere vitale ingenera nell'uomo
ancestrali paure.

La localizzazione ambientale è di rito anche per le streghe e del
resto per varie persone tuttora non è leggenda, ma credenza. La
civiltà dei monti e dei campi sfuma in una misteriosa atmosfera di
sortilegi e di malefici. Ne fanno le spese pe lo più gli animali
domestici, spesso unica sostanziosa fonte di sostentamento: mucche e
maiali. Si aggiungano le possessioni diaboliche. C'è sempre un'
alleanza tra la strega e il demonio. A dispetto di quanto proclamava
Giosuè Carducci a proposito dei miti carnici, qui non è evitabile
l'atmosfera cupa del Nord, almeno del tutto. Il diavolo e i dannati
fanno parte dell'essere del mondo e partecipano al suo perenne
travaglio. Decisamente più serena e confortevole è la visione dei
morti e dei santi. È il ritorno dei trapassati nel focolare in cui ha
palpitato il loro cuore e dove vibra la vita dei loro discendenti e la
stirpe continua.

I Friulani non hanno bisogno di copiare miti e feste perchè le zucche
intagliate e illuminate dall'interno sono sempre state di casa. Le
processioni dei defunti sono pellegrinaggi di speranza e rinnovano il
contratto tra morti e vivi senza soluzione di continuità. Ed è chel
âtri mont (il mondo dell'aldilà) a irrompere nella realtà d'ogni
giorno. Fioriscono nomi singolari: Marcandâle, Bele, Zefìro. Il
confine tra la terra e il cielo, tra il quotidiano e il magico non
esiste. Possiamo quindi passare nel prosieguo di questo volume, che fa
parte di una vasta collana abbracciante l'intero Friuli, ai racconti
di tesori scoperti o ritrovati e a quelli sull'origine di un luogo,
alle narrazioni tra fiaba e storica realtà, variamente mescolate. Ce
ne sono per tutti i gusti del fantastico. Si riflettono in esse
culture antiche, memorie sopite e trasformate dal tempo, episodi
vissuti, temi morali. Troviamo inserite preghiere e devozioni
popolari, storie di santi e di chiese, episodi di scongiuro
apotropaico degli avversi elementi atmosferici. E infine, dopo un
immaginoso "bestiario" dal sapore medioevale, dove bisce e serpenti la
fanno da padroni, giungiamo a una interessante e varia rassegna di
racconti tradizionali. La carrellata è finita. Svetta sul suo colle
l'Abbazia di Moggio da sempre fulcro storico e spirituale di questa
vallata tutta friulana. Tutto attorno, paese per paese, pulsa la vita,
che senza alcuna retorica, osserviamo responsabile e seria in un mondo
piuttosto smarrito. Questo documento mitico e leggendario resterà nel
tempo a perpetuare la memoria, la cultura e lo spirito della gente del
Canal del Ferro, cui auguro un futuro correlato alla sua storia e alla
sua civiltà.

la Sicilia attraverso miti e simboli.

CORRIERE CANADESE -
Paolo Fiorentino racconta la Sicilia attraverso miti e simboli.
Il medico italiano presenta il libro scritto in
inglese per poter trasmettere la cultura sicula alle nuove generazioni
http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=69260

TORONTO - Medico, professore e "letterato" per passione. Paolo
Fiorentino si racconta in occasione della presentazione del suo libro
"Sicily through symbolism and mity: gates to heaven and underworld".
Il testo è stato presentato a Toronto, presso il Columbus centre e
presso l'Istituto Italiano di cultura.

Siciliano d'origine, cittadino del mondo per scelta di vita.
Fiorentino è nato a Gela, e la Sicilia se la porta nel sangue.
Continua a scrivere della sua terra, del suo legame forte e
indissolubile con l'acqua e con il fuoco.
Paolo Fiorentino è convinto che proprio questo luogo, posto al centro
del Mediterraneo, gli ha insegnato la multiculturalità. Perché, per la
sua posizione geografica, la splendida isola italiana, nei secoli è
stata luogo d'incontro e di scambio. Territorio in cui le culture si
sono mescolate e cunfuse, in cui i simboli e i miti dei vari popoli si
sono fusi dando cosi vita ad una multiculturalità profondamente
radicata.

Paolo Fiorentino è professore presso la facoltà di medicina e
chirurgia all'università di Torino e presso l'università di Rochester,
Usa, si occupa di ricerca sulla terapia genetica del dolore, ma per
hobby fa continue ricerce sulle sua terra di origine.

Questo è il suo primo libro?
«No ho già pubblicato un altro lavoro, sempre sulla Sicilia. E sullo
stesso argomento ho scritto diversi articoli sia per giornali italiani
che per riviste in lingua inglese».
Perché un libro sulla Sicilia?
«Questo in realtà è un viaggio culturale della Sicilia, attraverso il
quale emerge il forte carattere di interculturalità di questa terra.
Quello che mi interessa è mostrare il legame con le altre culture,
come per esempio quello con i popoli celtici».
Quello per la Sicilia è un grande amore, questo libro però racchiude
anche la sua passione per il mito, ma c'è un collegamento con la sua
figura professionale, quella di uomo di scienza?
«In questo testo analizzo e dscrivo vari miti collegati con la storia
della Sicilia. L'obiettivo è sollevare il velo di favola e folklore
che c'è sopra al mito. Non è un caso che la mitologia nasce prima
della cultura scritta, la fantasia del racconto viene usata per far si
che un messaggio susciti un certo interesse e così venga tramandato.
Sotto la fantasia c'è sempre una base storica, biologica, geologica.
Fatti storici, messaggi politici e spiegazioni ad eventi naturali
venivano tramandati attraverso il mito. Effettivamente c'è una forte
connessione con il mio lavoro, in quanto cerco di ritrovare i fatti
naturali che venivano spiegati con il mito».

Come è nata questa pubblicazione?
«In realtà sto lavorando a questo libro da più di dieci anni. Questo
testo è dedicato alla mia nonna materna, che mi ha cresciuto, il
ricordo di lei mi ha spinto a racchiudere in un testo completo gli
appunti frutto di anni di ricerche».
Si tratta di un'opera totalmente personale?
«Si, si tratta, appunto, del frutto di anni di ricerche, ma molta
gente ha contribuito mettendomi a disposizione strumenti e mezzi,
aiutandomi a re-perire il materiale necessario.
Il risultato sono 125 pagine di scritti e disegni, realizzati da vari
artisti, alcuni dei quail canadesi».
Qual è l'obiettivo di questo testo?
«Vorrei dare una visione completa della Sicilia. Offrire un
approfondimento sulla storia e la cultura della mia Regione d'origine.
Un punto di vista che si allontana dalla semplice tradizione
folkloristica e si addentra in un territorio più complesso,
culturale».
Perché scrivere in inglese un libro sulla Sicilia?
«Intanto l'uso dell'inglese mi ha permesso di pubblicare questo testo
sia in Canada che negli Stati Uniti. Mi auguro che possa essere un
aiuto alla conoscenza delle proprie origini per i figli degli
immigrati, che tramite questo libro possono incuriosirsi sugli aspetti
culturali delle loro famiglie. Sono profondamente convinto che "l'uomo
che non conosce il proprio passato non ha radici", per questo credo
molto nella comunicazione della vastissima cultura italiana. E per
questo mi auguro che questa mia opera possa spingere altri a fare
lavori simili, magari migliori».

Un testo davvero ampio che prende il via con i miti legati all'acqua,
il capitolo preferito dall'autore, in quanto è proprio dall'acqua che
ha origine la vita. In questa parte si può leggere di Scilla e
Cariddi, di Alfeo e Aretusa, del mito dei mostri che attaccano tutti
quelli che vogliono attraversare lo stretto di Messina.
Altro capitolo è dedicato alla storia di Dedalo e Icaro, che termina
proprio in Sicilia.
Ci sono poi i miti legati al cambio delle stagioni come quello del
ratto di Persefone.
I miti del fuoco, profondamente radicati in Sicilia, proprio per la
presenza dell'etna.
I racconti delle metamorfosi. Un ampia parte è dedicata a Ciclope e Polifemo.

Molto approfondito il discorso che Paolo Fiorentino riserva alla
spiegazione delle origini della Trinacria o Triskeles, simbolo della
regione, corredato d'immagini e disegni.
In occasione dell'evento di presentazione al Columbus Centre Paolo
Fiorentino è stato introdotto al folto pubblico da Alberto Di
Giovanni, direttore del centro scuola e cultura italiana.
Di Giovanni ha sottolineato che questo libro è un evento culturale a
tutti gli effetti e non di sottocultura e folklore e proprio per
questo un momento importante di crescita e dialogo.

domenica 24 febbraio 2008

Primavera per 15 mila

Lunedì 25 Febbraio: IL GIORNALE DI VICENZA
Primavera per 15 mila:
Coinvolto tutto il paese Bene il servizio d’ordine
L’interminabile sfilata in costume ha celebrato tradizione, storia, cultura e vita dell’ alta Valle dell’ Agno. Riportati alla luce una infinità di abiti attrezzi e utensili di tempi andati
Chiamata di marzo una meravigliosa giornata di folla



C'era anche lei, la Primavera, ieri alla Chiamata di Marzo, onorando con la sua partecipazione una giornata felice e attribuendo alla tredicesima edizione i numeri della fortuna. Si è presentata avvolta da una eleganza piena di tepore, ammantata di azzurro Conca di Smeraldo e guarnita con il bianco della neve delle Piccole Dolomiti. Al suo fianco, sfavillante e radioso, un sole abbagliante con lo sfarzo anticipatore di una stagione che ieri nel centro termale, ha presentato le sue migliori credenziali.
Dopo una settimana piena di appuntamenti, ciascuno come un capitolo che è andato a formare una Chiamata di Marzo che si è riconfermata "grande", ieri il centro termale ha celebrato la tradizione, la cultura, la storia, la vita dell'alta valle dell'Agno. Come previsto alla 13.30 da via Bruni, alla periferia nord della cittadina, dove arrivavano folate d'aria proveniente dalla vicine montagne, si è messa in moto la sfilata aperta dal gruppo di cavalieri, dalle annunciatrici che offrivano al pubblico l'elenco dei 69 gruppi in sfilata e dal carro con un gigantesco gallo, simbolo di Recoaro, ideato nel 1658 da don Paolo Fracasso.
Ma già arrivava il ritmico suono del folto gruppo dei malghesi dei Ronchi, in camicia bianca pantaloni alla zuava, fez e calzettoni rossi, che percuotevano con una ciotola in legno un piccolo mastello a mo’ di tamburo. Ammirazione, curiosità e festa i sentimenti che si captavano tra il pubblico. Dall'inizio della sfilata in via Bruni e lungo le vie Obante, Campogrosso, Cavour, Roma, Resistenza, Pasubio, fino al piazzale della cabinovia, una marea di gente. Diecimila, quindici mila? Mille più, mille meno, il numero serve solo per dare la dimensione "biblica" della partecipazione popolare.
Già da metà mattinata gran parte dei parcheggi erano saturati da auto che avevano raggiunto il centro tremale per vivere tutta la giornata dedicata alla Chiamata di Marzo. I posti disponibili erano tremila. Poi, anche a sfilata in corso, gli autobus articolati delle Ftv andavano avanti e indietro lungo la statale, scaricando ondate di 150 persone al colpo. Da ponte Verde, dove i mezzi pubblici facevano capolinea era tutta una processione di gente, che con passo rapido si avvicinava al ponte della Filanda e oltre per assistere all'evento biennale della Chiamata di marzo. Le vie erano invase da rumori, suoni, odori e profumi. Sui carri c'era tutto un mondo, anzi un cosmo di pianeti chiamati a raccolta dalla bionda fatina della Primavera per esibire un emozionante e brioso museo etnografico itinerante.
Una dopo l'altra le scene si susseguivano con evidente significato del ruolo rivestito ed interpretato e con frequenti coinvolgimenti del pubblico, al quale venivano offerti tipici assaggi della gastronomia d'un tempo. La vita dei campi e del bosco era ben rappresentata, con tornemo dal bosco e dal prà, bruscare le visele, bater el furmento, i scalpellini. Come pure la vita domestica con la cusina del montanaro, la casara, la lissia, come se lavorava la lana. Anche il mondo fantastico aveva misterios i e inquetanti rappresentazioni: el canon de morato, briganti e contrabbandieri, le anguane, orco e archetto e l'anguana Etele e il mago della Spaccata, interpretati in modo efficace e suggestivo dalla biancovestita Adriana Dal Pezzo e da Sergio Lovato, che hanno creato un accogliente spazio tra i blocchi di cemento del parco di via Roma. Ammirata una inedita ricostruzione della Vaca Mora della contrada Rivelunghe. Tra le postazioni fisse la celebre ostaria dal Tracanela con il casoto de la fritola (una maliziosa ricostruzione del luogo in cui un tempo si poteva trovare un ammiccante sorriso).
Il fatto sorprendente è l'infinità di abiti, attrezzi, utensili, oggetti di tutti i tipi, originali d'epoca, che in questa circostanza tornano alla luce da remote cantine, polverose soffitte, madie intarlate e guardaroba segreti e riportati alla vita di un tempo per l'ammirazione del pubblico e la soddisfazione dei partecipanti. In mattinata sulle vie del centro i ragazzi della scuola media coordinati dal prof. Moreno Rasia Dani, avevano dato dimostrazione di come si giocava un tempo: è il risultato di una accurata ricerca che aveva coinvolto anche le famiglie degli alunni. Inoltre, nel teatro comunale si è svolta la premiazione del concorso vetrine dedicato alla Chiamata di Marzo e indetto dall'Ascom.
Il migliore allestimento è stato di Sonia Castagna del negozio Fantasie, secondo la famiglia Orsato dell'Aquila d'Oro e terzo Facchin Calzature. Al termine della sfilata sul piazzale della cabinovia, appena si sono accese le stelle, con il falò dell'Omo de paia, si è dissolto con alte fiamme il simbolo dell'inverno, a far posto alla invocata Primavera. Imponente la tredicesima Chiamata di Marzo che si è riconfermata la regina delle manifestazioni recoaresi. Circa quindicimila persone, arrivate a Recoaro anche da lontano, 69 carri e gruppi che hanno sfilato e ben 1025 figuranti, o primi attori della manifestazione. Il presidente del Comitato, Alberto Camposilvan, è felice, anche se un po' frastornato da un lavoro che con il comitato hanno gestito per una settimana intera. Con il brindisi conclusivo, tra pochi amici, ripete gratitudine e soddisfazione per il concorso generale della gente e delle contrade. "Sono loro - ha commentato - che fanno grande la Chiamata di Marzo. In particolare è dovuto il ringraziamento alle 150 persone, che fin dal mattino, hanno assicurato un efficace ed eccellente servizio d'ordine: carabinieri, polizia municipale, alpini, protezione civile, associazione carabinieri e altri ancora che hanno dato un indispensabile sostegno a questa manifestazione. Credo che la Chiamata di Marzo abbia direttamente o indirettamente coinvolta tutta la cittadina termale, che ancora una volta ha dimostrato quella vivacità che da sempre l'ha contraddistinta".

di Luigi Centomo