Tiaris di Cjanal del Fier (Terre del Canal del Ferro) e l'orizzonte mitico del Canal del Ferro
http://www.natisone.it/miti/canal_3.htm
di Domenico Zannier
Stretto e incassato tra le rocce ferrigne il Canal del Ferro si
allarga di tanto in tanto in diramazioni vallive laterali e conche di
intenso effetto paesaggistico. Lo scenario di Moggio è uno dei più
pittoreschi dell'intero arco alpino. Resiutta conduce agli assolati
pendii di Resia. Chiusaforte apre con la Val Raccolana verso Sella
Nevea. Il trono regale del Montasio si specchia nel Fella a Dogna con
i rosei riflessi di una eterna aurora. Pontebba corona la valle e
introduce alla Val Canale dai vasti boschi, preludio alle estese valli
della Carinzia lacustre. Per il Canal del Ferro sono passati popoli e
popoli e tutti hanno lasciato le loro tracce toponomastiche. Ma dopo
duemila anni è notevole il fatto che persista una latinità celtica, a
dispetto di tutte le invasioni ricorrenti. Giuseppe Marchetti parlava
di itatinizzazione della vallata, ma a mio avviso i tratti di
antichissima conservatività linguistica inducono a una presenza
linguistica molteplice e di confronto in cui di nuovo è prevalso il
discorso latino. Prova ne sia la conservazione nel Canal del Ferro,
come in poche altre aree del friulano rilevabili in Carnia, del nesso
"int" per il latino "ant" constatabile negli esiti "vèvint, vignivint"
(latino "habebant", "veniebant" ecc.). La "t" finale è caduta in tutto
il territorio ladino.
Dicevamo che il confronto tra più culture ha portato senza dubbio a
una conservatività da un lato e a una evoluzione dall'altro e inoltre
ha arricchito il bagaglio mitico e leggendario delle tradizioni
popolari. Già Michele Gortani rilevava il ricco folclore narrativo
delle genti del Canal del Ferro, di cui rivelava le affinità con
analoghi esiti mitici della Carnia e dell'intero Friuli, staccandoli
nel contempo dal mondo di Resia e della Val Canale, contigui, ma
etnicamente diversi. Di striis e di orcui (streghe e orchi) è pieno
l'universo popolare. E così pure di gnomi, folletti, maghi, di esseri
primitivi, di diavoli. Un grande rilievo hanno le aganis, specie di
ninfe o nàiadi, i cui connotati differiscono da quelli ipotizzati in
altre parti della Regione. Un tratto caratteristico è quello di avere
i piedi a rovescio e talvolta anche i polpacci. Sono dipinte come
vecchie e brutte, quasi confondendole con le streghe, o bionde e
bianche e pure belle. Possono avere anche una loro regina ornata
d'oro. Viene attribuita alle aganis anche una sorta di antropofagia,
come fossero delle sirene omeriche, che rapiscono gli uomini.
Sarebbe utile accostare questi particolari mitici ad altre culture per
un più approfondito discorso delle origini. La lista si allunga con
l'orco sempre localizzato in un determinato ambiente: la Val
Raccolana, il Fontanon, Casasola, Povici (S¸ tâi), il Monte Amariana.
La sua tipologia non presenta aspetti diversificati dal resto del
territorio friulano. Stessa sorte tocca al vèncul, personificazione
dell'incubo notturno. Quando arriviamo agli "Spiriti" ci troviamo di
fronte a un mondo di proiezione ultraterrena della vita, quasi un
intreccio tra mondo visibile e invisibile, tra forze di personaggi
evocati dalle tenebre del mistero eppure radicati nella realtà
paesana. La Bâbeberte e la Mâri da le gnot ci rituffano nelle paure
della preistoria. Anche se in seguito adoperati per i fanciulli,
questi miti non sono nati per il mondo infantile. Nell'evoluzione dei
millenni sono stati come derubricati e declassificati. E che dire di
striis e striaments (streghe e stregonerie)? Siamo in compagnia di un
universo culturale che abbraccia l'area mediterranea come quella
nordica e alpi-na, senza distinzione di gruppi linguistici. È la
rimozione della donna, il cui potere vitale ingenera nell'uomo
ancestrali paure.
La localizzazione ambientale è di rito anche per le streghe e del
resto per varie persone tuttora non è leggenda, ma credenza. La
civiltà dei monti e dei campi sfuma in una misteriosa atmosfera di
sortilegi e di malefici. Ne fanno le spese pe lo più gli animali
domestici, spesso unica sostanziosa fonte di sostentamento: mucche e
maiali. Si aggiungano le possessioni diaboliche. C'è sempre un'
alleanza tra la strega e il demonio. A dispetto di quanto proclamava
Giosuè Carducci a proposito dei miti carnici, qui non è evitabile
l'atmosfera cupa del Nord, almeno del tutto. Il diavolo e i dannati
fanno parte dell'essere del mondo e partecipano al suo perenne
travaglio. Decisamente più serena e confortevole è la visione dei
morti e dei santi. È il ritorno dei trapassati nel focolare in cui ha
palpitato il loro cuore e dove vibra la vita dei loro discendenti e la
stirpe continua.
I Friulani non hanno bisogno di copiare miti e feste perchè le zucche
intagliate e illuminate dall'interno sono sempre state di casa. Le
processioni dei defunti sono pellegrinaggi di speranza e rinnovano il
contratto tra morti e vivi senza soluzione di continuità. Ed è chel
âtri mont (il mondo dell'aldilà) a irrompere nella realtà d'ogni
giorno. Fioriscono nomi singolari: Marcandâle, Bele, Zefìro. Il
confine tra la terra e il cielo, tra il quotidiano e il magico non
esiste. Possiamo quindi passare nel prosieguo di questo volume, che fa
parte di una vasta collana abbracciante l'intero Friuli, ai racconti
di tesori scoperti o ritrovati e a quelli sull'origine di un luogo,
alle narrazioni tra fiaba e storica realtà, variamente mescolate. Ce
ne sono per tutti i gusti del fantastico. Si riflettono in esse
culture antiche, memorie sopite e trasformate dal tempo, episodi
vissuti, temi morali. Troviamo inserite preghiere e devozioni
popolari, storie di santi e di chiese, episodi di scongiuro
apotropaico degli avversi elementi atmosferici. E infine, dopo un
immaginoso "bestiario" dal sapore medioevale, dove bisce e serpenti la
fanno da padroni, giungiamo a una interessante e varia rassegna di
racconti tradizionali. La carrellata è finita. Svetta sul suo colle
l'Abbazia di Moggio da sempre fulcro storico e spirituale di questa
vallata tutta friulana. Tutto attorno, paese per paese, pulsa la vita,
che senza alcuna retorica, osserviamo responsabile e seria in un mondo
piuttosto smarrito. Questo documento mitico e leggendario resterà nel
tempo a perpetuare la memoria, la cultura e lo spirito della gente del
Canal del Ferro, cui auguro un futuro correlato alla sua storia e alla
sua civiltà.
http://www.natisone.it/miti/canal_3.htm
di Domenico Zannier
Stretto e incassato tra le rocce ferrigne il Canal del Ferro si
allarga di tanto in tanto in diramazioni vallive laterali e conche di
intenso effetto paesaggistico. Lo scenario di Moggio è uno dei più
pittoreschi dell'intero arco alpino. Resiutta conduce agli assolati
pendii di Resia. Chiusaforte apre con la Val Raccolana verso Sella
Nevea. Il trono regale del Montasio si specchia nel Fella a Dogna con
i rosei riflessi di una eterna aurora. Pontebba corona la valle e
introduce alla Val Canale dai vasti boschi, preludio alle estese valli
della Carinzia lacustre. Per il Canal del Ferro sono passati popoli e
popoli e tutti hanno lasciato le loro tracce toponomastiche. Ma dopo
duemila anni è notevole il fatto che persista una latinità celtica, a
dispetto di tutte le invasioni ricorrenti. Giuseppe Marchetti parlava
di itatinizzazione della vallata, ma a mio avviso i tratti di
antichissima conservatività linguistica inducono a una presenza
linguistica molteplice e di confronto in cui di nuovo è prevalso il
discorso latino. Prova ne sia la conservazione nel Canal del Ferro,
come in poche altre aree del friulano rilevabili in Carnia, del nesso
"int" per il latino "ant" constatabile negli esiti "vèvint, vignivint"
(latino "habebant", "veniebant" ecc.). La "t" finale è caduta in tutto
il territorio ladino.
Dicevamo che il confronto tra più culture ha portato senza dubbio a
una conservatività da un lato e a una evoluzione dall'altro e inoltre
ha arricchito il bagaglio mitico e leggendario delle tradizioni
popolari. Già Michele Gortani rilevava il ricco folclore narrativo
delle genti del Canal del Ferro, di cui rivelava le affinità con
analoghi esiti mitici della Carnia e dell'intero Friuli, staccandoli
nel contempo dal mondo di Resia e della Val Canale, contigui, ma
etnicamente diversi. Di striis e di orcui (streghe e orchi) è pieno
l'universo popolare. E così pure di gnomi, folletti, maghi, di esseri
primitivi, di diavoli. Un grande rilievo hanno le aganis, specie di
ninfe o nàiadi, i cui connotati differiscono da quelli ipotizzati in
altre parti della Regione. Un tratto caratteristico è quello di avere
i piedi a rovescio e talvolta anche i polpacci. Sono dipinte come
vecchie e brutte, quasi confondendole con le streghe, o bionde e
bianche e pure belle. Possono avere anche una loro regina ornata
d'oro. Viene attribuita alle aganis anche una sorta di antropofagia,
come fossero delle sirene omeriche, che rapiscono gli uomini.
Sarebbe utile accostare questi particolari mitici ad altre culture per
un più approfondito discorso delle origini. La lista si allunga con
l'orco sempre localizzato in un determinato ambiente: la Val
Raccolana, il Fontanon, Casasola, Povici (S¸ tâi), il Monte Amariana.
La sua tipologia non presenta aspetti diversificati dal resto del
territorio friulano. Stessa sorte tocca al vèncul, personificazione
dell'incubo notturno. Quando arriviamo agli "Spiriti" ci troviamo di
fronte a un mondo di proiezione ultraterrena della vita, quasi un
intreccio tra mondo visibile e invisibile, tra forze di personaggi
evocati dalle tenebre del mistero eppure radicati nella realtà
paesana. La Bâbeberte e la Mâri da le gnot ci rituffano nelle paure
della preistoria. Anche se in seguito adoperati per i fanciulli,
questi miti non sono nati per il mondo infantile. Nell'evoluzione dei
millenni sono stati come derubricati e declassificati. E che dire di
striis e striaments (streghe e stregonerie)? Siamo in compagnia di un
universo culturale che abbraccia l'area mediterranea come quella
nordica e alpi-na, senza distinzione di gruppi linguistici. È la
rimozione della donna, il cui potere vitale ingenera nell'uomo
ancestrali paure.
La localizzazione ambientale è di rito anche per le streghe e del
resto per varie persone tuttora non è leggenda, ma credenza. La
civiltà dei monti e dei campi sfuma in una misteriosa atmosfera di
sortilegi e di malefici. Ne fanno le spese pe lo più gli animali
domestici, spesso unica sostanziosa fonte di sostentamento: mucche e
maiali. Si aggiungano le possessioni diaboliche. C'è sempre un'
alleanza tra la strega e il demonio. A dispetto di quanto proclamava
Giosuè Carducci a proposito dei miti carnici, qui non è evitabile
l'atmosfera cupa del Nord, almeno del tutto. Il diavolo e i dannati
fanno parte dell'essere del mondo e partecipano al suo perenne
travaglio. Decisamente più serena e confortevole è la visione dei
morti e dei santi. È il ritorno dei trapassati nel focolare in cui ha
palpitato il loro cuore e dove vibra la vita dei loro discendenti e la
stirpe continua.
I Friulani non hanno bisogno di copiare miti e feste perchè le zucche
intagliate e illuminate dall'interno sono sempre state di casa. Le
processioni dei defunti sono pellegrinaggi di speranza e rinnovano il
contratto tra morti e vivi senza soluzione di continuità. Ed è chel
âtri mont (il mondo dell'aldilà) a irrompere nella realtà d'ogni
giorno. Fioriscono nomi singolari: Marcandâle, Bele, Zefìro. Il
confine tra la terra e il cielo, tra il quotidiano e il magico non
esiste. Possiamo quindi passare nel prosieguo di questo volume, che fa
parte di una vasta collana abbracciante l'intero Friuli, ai racconti
di tesori scoperti o ritrovati e a quelli sull'origine di un luogo,
alle narrazioni tra fiaba e storica realtà, variamente mescolate. Ce
ne sono per tutti i gusti del fantastico. Si riflettono in esse
culture antiche, memorie sopite e trasformate dal tempo, episodi
vissuti, temi morali. Troviamo inserite preghiere e devozioni
popolari, storie di santi e di chiese, episodi di scongiuro
apotropaico degli avversi elementi atmosferici. E infine, dopo un
immaginoso "bestiario" dal sapore medioevale, dove bisce e serpenti la
fanno da padroni, giungiamo a una interessante e varia rassegna di
racconti tradizionali. La carrellata è finita. Svetta sul suo colle
l'Abbazia di Moggio da sempre fulcro storico e spirituale di questa
vallata tutta friulana. Tutto attorno, paese per paese, pulsa la vita,
che senza alcuna retorica, osserviamo responsabile e seria in un mondo
piuttosto smarrito. Questo documento mitico e leggendario resterà nel
tempo a perpetuare la memoria, la cultura e lo spirito della gente del
Canal del Ferro, cui auguro un futuro correlato alla sua storia e alla
sua civiltà.