venerdì 23 maggio 2008

Riprendiamo il discorso sull'abete ...

Il Gazzettino, 23 maggio 2008
Riprendiamo il discorso sull'abete ...
Riprendiamo il discorso sull'abete rosso, di cui abbiamo parlato nella puntata del lontano 1° agosto 2005 della rubrica Allora la brevità dello spazio a disposizione (anche se ci ha consentito comunque di presentare una "panoramica" generale sulla pianta) non ci ha tuttavia permesso di approfondire alcune tematiche fondamentali. Cerchiamo perciò di farlo ora, partendo da miti, leggende storia, legati alla pianta. Scrivevamo allora che l'abete rosso "sembra non avere una personalità mitica propria". E in effetti la gran parte dei miti pare riguardi indistintamente sia l'abete rosso che l'abete bianco. Anzi, a voler essere pignoli, rileggendo la ricca letteratura relativa alle due piante, possiamo affermare che un gran numero di studiosi con il termine "abete" intende indicare l'abete bianco. Per l'abete rosso usa invece il termine esplicito di "abete rosso" appunto o di peccio. Siamo andati allora a rileggere i miti più noti, partendo ovviamente da quelli dell'antica Grecia. Fra essi ci siamo soffermati in particolare su quello più celebre e conosciuto, ovvero quello della ninfa Elatè o Cenide, figlia di Corono (cioè "il corvo"). Innanzi tutto il termine "elatè". In greco, oltre alla divinità femminile Elatè appunto, esso indica anche l'abete o l'abete rosso. Ecco perché abbiamo deciso di trascriverlo (in sintesi ovviamente) riferito proprio a questa pianta. Elatè, protettrice delle donne partorienti e dei neonati, venerata come dea della luna nuova dai Lapiti (popolazione selvaggia della Tessaglia), veniva chiamata anche Kaineides, da "kainizo", ovvero "rinnovare, portare cose nuove". La mitologia ne ha serbato traccia sotto forma di una curiosa storia che Ovidio pone in bocca a Nestore, che, vecchio di duecento anni all'epoca della guerra di Troia, ne sarebbe stato testimone (il che la fa risalire dunque ai tempi eroici).

Un giorno la ninfa Kaineìdes (Cenide) fu posseduta da Poseidone che, soddisfatto, le chiese cosa desiderasse come dono d'amore. "Trasformami in un guerriero invincibile, sono stanca di essere donna", fu la sua risposta. Diventò così Kaineùs (Ceneo), che guidò i Lapiti più volte alla vittoria, fino ad essere proclamato loro re. Ma il potere lo inorgoglì a tal punto che egli piantò la sua lancia (l'abete) nel centro della piazza del mercato e ingiunse al popolo di adorarla e di non avere altro dio all'infuori di essa. Zeus, irritato da tanta presunzione, incitò i Centauri (nemici dei Lapiti) ad assassinarlo. Durante le nozze di Piritoo, Kaineùs assalito si difese, uccidendone facilmente cinque o sei senza subire un graffio, poiché le armi degli assalitori scivolavano sulla sua pelle invulnerabile. Dopo un attimo di sconcerto i Centauri superstiti, ispirati da Zeus, comprendendo che Kaineùs poteva morire solo mediante gli alberi, cambiarono tattica e lo percossero sul capo con tronchi di abete fino a stenderlo a terra, per poi ricoprirlo con una catasta di altri tronchi e soffocarlo. Fu allora che un uccello grigio si levò dalla catasta. Mopso l'indovino, presente all'evento, disse di aver riconosciuto in quell'uccello l'anima di Kaineùs. Al termine delle esequie il corpo aveva riacquistato sembianze femminili.

Il mito adombra probabilmente un rito in onore della Grande Madre che doveva consistere nell'innalzamento di un abete nella piazza del mercato e in una cerimonia rituale in cui uomini nudi, armati di magli, percuotevano sul capo un'effigie della Madre Terra per liberare lo spirito dell'anno nuovo.

Dopo questo mito, veniamo a una leggenda riferita sicuramente, senza bisogno di interpretazioni, all'abete rosso. Siamo in Valtournenche, in Val d'Aosta, in tempi ovviamente più vicini a noi.

Un tempo gli abeti - narra la leggenda - non erano dei sempreverdi e quando giungeva l'autunno perdevano le foglie come tutti gli altri alberi.

In Valtournenche viveva un grande abete i cui rami ospitavano ogni anno i nidi degli uccelli che vi trovavano protezione fino all'arrivo dell'autunno.

Un anno uno di loro si ferì ad un'ala e non potè seguire lo stormo che, come sempre, all'arrivo dei primi freddi, migrava verso paesi più caldi.

Il povero uccellino andava incontro ad un triste destino perché al cadere delle foglie sarebbe morto di freddo. Ma l'abete era robusto e voleva salvare il suo amico a tutti i costi. Il vento cercava in tutte le maniere di portargli via le foglie, ma il grande albero riuscì a resistere fino all'arrivo dell'inverno.

Stupitosi di vedere un albero ancora verde in mezzo ad una distesa bianca, l'inverno chiese spiegazioni all'uccellino che, grazie agli sforzi dell'abete, era riuscito a sopravvivere.

Colpito dalla generosità del grande albero, per ringraziarlo della sua bontà d'animo, gli promise che il vento non avrebbe mai più staccato il suo fogliame.

Questa leggenda ci spinge a una constatazione.

Candido e silenzioso, l'inverno si posa come un manto su gli ombrosi boschi di montagna. Le conifere, mosse dall'aria gelida,ondeggiano all'apice e soffici fiocchi di neve discendono delicati, come piccoli sogni sospinti dall'alto respiro ad incantare la terra.

La natura dorme... la vita si assopisce... gli abeti, invece, "vegliano"!

Nel cuore dell'inverno (mentre moltissimi alberi si spogliano e sembra stiano morendo) l'abete conserva il suo verde intenso, i suoi aghi e la sua chioma folta e resistente. Questa sua caratteristica, simile a quella degli altri sempreverdi, fu interpretata dagli antichi come simbolo di immortalità, di vita pulsante che perdura immutata al di là dei cicli d'esistenza sulla terra; al di là del sonno e del risveglio che si susseguono incessanti.

L'abete è simbolicamente legato al solstizio invernale, poiché esso richiama la rigenerazione profonda, lo sbocciare della vita luminosa nel centro dell'oscurità, e quindi la nascita del Fanciullo divino, del Sole lucente, il cui cammino di discesa nelle profondità della terra si conclude nella notte più lunga dell'anno e quello di emersione ha inizio, in concomitanza con l'allungarsi della durata delle giornate.

E siamo così arrivati alle credenze dei popoli germani e dei Celti.

(1 - continua)

A cura dell'Associazione Forestali d'Italia

e della Direzione centrale per le risorse agricole, forestali, naturali e montagna

della regione Friuli Venezia Giulia

domenica 11 maggio 2008

PALERMO: Duecento tesori verdi da salvare ecco tutti gli alberi monumentali

PALERMO: Duecento tesori verdi da salvare ecco tutti gli alberi monumentali
LAURA NOBILE
Repubblica Palermo 29-OTT-2006

Presentato da Legambiente il censimento del patrimonio inserito nell'albo regionale

A SETTEMBRE dell'anno scorso erano una sessantina, adesso gli "alberi monumentali" segnalati da Legambiente Sicilia sono diventati duecento. Esemplari vetusti, veri e propri "patriarchi verdi" custodi di storie e leggende da tramandare, o esemplari che ormai rappresentano un simbolo, di un luogo o di un'identità, come nel caso dell'"albero Falcone" di via Notarbartolo.
Con questa finalità, in collaborazione col parco delle Madonie, è nato tre anni fa il progetto "Monumenti della natura", dedicato a un patrimonio tutto siciliano da conoscere e valorizzare, alla stessa stregua dei suoi beni storico — artistici o architettonici.
Il primo obiettivo raggiunto, un anno fa, fu l'istituzione da parte dell'assessorato regionale ai Beni culturali, dell'Albo delle piante monumentali. Ma la campagna lanciata da Legambiente per raccogliere segnalazioni è andata avanti, ampliando la lista con altri 140 alberi monumentali.
Ieri mattina, durante la prima tappa palermitana di "Salvalarte Sicilia 2006", il responsabile per i beni culturali dell'associazione Gianfranco Zanna ha presentato la Carta degli alberi monumentali. «In questa fase, la carta è uno strumento di divulgazione — ha detto Zanna — e servirà a fornire tutte le informazioni alle diverse Soprintendenze, per le valutazioni necessaire all'inserimento dei nuovo alberi nell'albo». Tra le new entry della Carta ci sono i "platani di Goethe", sotto i quali a Villa Giulia lo scrittore si soffermò. Ha dimensioni eccezionali, il leccio di contrada torre Montaspro a Isnello, la cui età stimata è tra gli 800 e i 900 anni, e la cui circonferenza al suolo è di undici metri e venti. Ha "solo" 400 anni, invece, ed è in buone condizioni vegetative la quercia roverella incastonata nell'area del castello della Pietra, a Castelvetrano e ha la stessa età la roverella di contrada Muti a Chiaramonte Gulfi, legata a un'antica leggenda.
Ieri mattina, alla presenza del presidente dell'Ars Gianfranco Miccichè, Zanna ha anche lanciato la proposta, subito accolta, di una legge ad hoc per dotare dì risorse finanziarie il progetto di tutela degli alberi monumentali, visto che alcuni alberi si trovano in aree di parchi o riserve, ma molti sono nei centri abitati, in ville privati, o isolati in totale abbandono. La legge dovrebbe prevedere una tabellazione degli alberi, monitoraggi sullo stato di salute, quando necessario trattamenti di bonifica e di manutenzione, e la scheda con la storia della piante e le eventuali leggende collegate.

sabato 10 maggio 2008

I pupi in vendita. «Patrimonio da salvare»

I pupi in vendita. «Patrimonio da salvare»
Marco Romano
Giornale di Sicilia - Palermo 10/12/2006

I pupi di Anna Cuticchio? Quel patrimonio col prestigioso timbro Unesco - 150 marionette con contorno di cartel Ioni, scenografie, palchi, pianola meccanica e copioni intrisi di storia, che la fondatrice dell' indimenticato teatro Bradamante e oggi suora missionaria in Tanzania vuole vendere per sfamare i suoi bambini di Njololo, non lascia indifferenti Regione, Provincia e Comune. Tutti concordi sul fatto che va salva guardato, non va smembrato fra acquirenti privati o - peggio - spedito in qual che collezione oltre confine. E fin qui va bene. Il problema nasce però quando c'è da mettere le mani nelle casse e tirare fuori la somma necessaria per acquistare l'intero lotto: lì la dichiarazione d'interesse lascia spazio al diplomatico politichese che si traduce in un sostanziale «non abbiamo un euro». E di euro in realtà ne servirebbero tanti, anche se forse non tantissimi: Anna Cuticchio/suor Marina non lo dice formalmente, ma stima il valore di pupi e accessori intorno al milione e 300mila euro circa. Cifra di partenza, certo, per qualunque trattativa con l'ente pubblico più interessato, chè a uno di essi la Cuticchio vorrebbe consegnare le sue creature, le più preziose delle quali hanno già scavalcato il secolo di vita. Insomma, parliamone ma neanche tanto: «Il Comune al momento - spiega il sindaco Diego Cammarata - non ha risorse disponibili per l'eventuale acquisizione. Siamo ben consapevoli - però che si tratta di un patrimonio culturale di rilievo che non può andare disperso. L'assessore alla Cultura, Tommaso Romano, ha già inviato una lettera al ministro Rutelli per chiedergli strumenti e risorse per un eventuale intervento. Il Comune naturalmente è disponibile a confrontarsi con Provincia e Regione per verificare l'esistenza di percorsi condivisi in grado di condurre ad un risultato positivo». Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente della Provincia, Francesco Musotto: «Giusto non smembrare quel grande patrimonio di cultura e tradizione -dice l'europarlamentare forzista - ma oltre al problema economico per noi esiste anche quello logistico. Sarebbe più adatta un'istituzione museale, magari lo stesso museo delle marionette. In tal senso, un intervento diretto della Regione potrebbe essere più opportuno». E la Regione? Stesso binario: «Un patrimonio di 150 pupi siciliani e di tutto quanto serve alla messa in scena dell'opera - premette il vicepresidente e assessore ai Beni culturali, Lino Leanza - è un patrimonio che non può essere disperso, perché fa parte della nostra identità. Il teatro dei pupi è un bene immateriale posto sotto la tutela dell'Unesco, un riconoscimento ulteriore a un mondo che, pur portando avanti un desiderio di crescita e innovazione, mantiene viva la tradizione, e un impegno a mantenerlo compatto». E dunque? «La richiesta di Anna Cuticchio non deve cadere inascoltata: credo che la Regione e le altre istituzioni - dice Leanza - debbano intervenire in questa vicenda, rilevando e trovando insieme una collocazione adeguata alla collezione della pupara siciliana che, tra l'altro, vuole destinare il denaro ricavato a una nobile causa come quella di aiutare i bambini africani». Dichiarazioni d'intenti. Basteranno?

Aidonesi alla riscoperta delle radici. E per Morgantina ci si veste da greci

Aidonesi alla riscoperta delle radici. E per Morgantina ci si veste da greci
Zagara Palermo
Giornale di Sicilia, Enna, 19/12/2006

La manifestazione per la Venere. Impegno dei politici, ma anche gente comune che ha a cuore la valorizzazione del territorio. Striscioni di protesta per i furti d'arte

AIDONE. Ha avuto un esito molto positivo l'evento tenutosi domenica Aidone. L'incontro, che doveva svolgersi nel silo archeologico di Morgantina, a causa dalla pioggia e della nebbia, ha costretto tutti al riparo, la sede del comune di Aidone è sembrata dunque lo scenario più adatto all'evento. Erano presenti molte autorità politiche, tra cui anche l'Assessore Regionale ai Beni Culturali, Lenza, che si è impegnato personalmente alla riuscita di questo evento, ma soprattutto erano presenti centinaia di cittadini aidonesi, che si sono prodigati al fine di dimostrare che ci tengono a promuovere e valorizzare il loro territorio. All'ingresso del Comune, l'Archeoclub di Aidone ha distribuito volantini informativi. Sulla scalinata che porta alla sala consiliare, dove si è svolta la conferenza, un gruppo di cittadini ha indossato gli abiti greci, vi erano alcuni senatori e due donne greche, mentre le guardie con elmo, scudo e corazza in cuoio «vigilavano» sulle autorità politiche all'interno dell'aula consiliare. Gli abiti indossati sono quelli realizzati dall'Archeoclub Aidone per la manifestazione "Tra Mito e Storia: Morgantina rivive". Molti gli striscioni di protesta, realizzati dai giovani aidonesi, alcuni sicuramente molto forti come «il settimo comandamento dice: non rubare». Era ovviamente riferito ai numerosi furti di opere d'arte. Vi era esposta una riproduzione a grandezza reale della Ve-nere, realizzata per l'occasione dall'Associazione Pietre Vive. Numerosi quindi gli abitanti della cittadina che hanno voluto far sentire la loro voce su un argomento a cui tengono molto. Grande è la forza e la passione con cui trattano questi argomenti, sono convinti che la statua gli appartiene e non hanno intenzione di mollare la presa in alcun modo. «La Venere ci è stata portata via illegalmente. - ha dichiarato uno di loro - A noi cittadini non interessano le pratiche burocratiche, sappiamo solo che quella statua, come i 14 pezzi d'argento, gli aeroliti e molto altro ancora, ci appartengono ed è qui che dovranno risiedere. Non ci stiamo battendo per chissà che cosa, la statua è nostra, vogliamo solo che ritorni a casa. Un altro ha detto: «Non so cosa intendano loro per prove, ma io direi a questa gente di venire a trovarci, visitare il sito archeologico di Morgantina e il Museo di Aidone, solo allora potrebbero capire da dove viene veramente la Venere, e perché ci battiamo tanto per riaverla». Da evidenziare l'iniziativa del Sign. Baeli, che ha esposto sulla sua auto un'immagine tridimensionale della Venere, ad altezza reale, quindi 2,20 m, è partito dalla sua città, Messina, per toccare, durante il suo viaggio verso Aidone, molte piazze siciliane, tra cui Santa Teresa Riva, Taormina, Acireale, Catania, Paternò.

Unesco, è un tesoro il folklore d'Italia

Unesco, è un tesoro il folklore d'Italia
Maria Novella De Luca
la Repubblica 30/12/2006

ROMA — Raccontano il mondo sacro e il mondo profano, i riti, le feste, la musica e le canzoni. Raccontano i misteri della vita e della natura, le guerre, gli amori, le leggende, le storie di Dio e quelle degli uomini, il cibo, il raccolto, la nascita e la morte. Sono le tradizioni popolari, le rappresentazioni rituali, i dialetti ormai oscuri, le lingue dimenticare, quell'eredità “intangibile” e preziosa che Ernesto De Martino definiva “Mondo Magico” e che finalmente in ltalia sarà tutelato come patrimonio dell'umanità. Con la ratifica di due convenzioni Unesco, una sulla Diversità Culturale l'altra sui Beni Intangibili, alcuni tra gli esempi più alti del folklore italiano come il Canto a Tenores sardo o l'Opera dei Pupi Siciliani, il Palio di Siena o la festa dei Ceri di Gubbio, entreranno a far parte dell'elenco mondiale dei beni da proteggere. Con la particolarità che non si tratta di paesaggi e monumenti, ma di tesori che si tramandano con la voce, la memoria, il canto, la musica, «Il Senato — spiega Danielle Mazzonis, sottosegretario ai Beni Culturali — ha appena approvato all'unanimità la convezione sulla Diversità Culturale, un documento che impegnerà lo Stato a tutelare e quindi a finanziare le espressioni artistiche nazionali, dal cinema alla letteratura al teatro. Nelle prime settimane di gennaio, invece, inizierà la discussione sulla convenzione Unesco sui Beni Intangibili, ossia la grande tradizione dell'etnoantropologica italiana. Ratificata la convenzione si dovrà stilare la lista degli eventi da considerare patrimonio dell'umanità. Ma già oggi alcuni esempi di tradizione popolare sono inseriti in un lista mondiale dell'Unesco che ogni anno identifica pezzi di memoria collettiva da conservare e salvare dall'oblio». Tra questi, il famoso Canto a Tenores, l'espressione musicale tra le più arcaiche della Sardegna, in cui quattro cantori disposti a cerchio, (così come a cerchio erano costruiti i Nuraghe) compiono delle vere e proprie acrobazie musicali con il semplice uso della voce. Accanto al Tenores c'è ll Teatro dei Pupi siciliani, con quelle marionette uniche e decoratissime che ancora oggi rievocano l'Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata. Ma è probabile, sottolinea Mazzonis, che eventi come «il Palio di Siena o i Ceri di Gubbio, le rappresentazioni della Pasqua in Campania o la festa di Santa Rosalia entrino di diritto nella lista del patrimonio immateriale italiano». E parla di intervento fondamentale per salvare “l'archeologia vivente” Marino Niola, docente di Antropologia dei Simboli all'università Suor Orsola Benincasa di Napoli. «Pur essendo uno dei paesi più ricchi al mondo sul fronte delle tradizioni, noi arriviamo quasi ultimi nella tutela dei beni immateriali, se pensiamo che già da anni la Corea possiede il catalogo dei beni viventi, che classifica come “bene culturale” una famosa sciamana,.. In ogni caso la classificazione dell'Unesco avrà una ricaduta molto positiva nel restituire al folklore italiano la sua vera natura di “archeologia vivente”, non soltanto turistica e non soltanto da cartolina». Niola spiega però che ci sono molte zone d'Italia dove il “patrimonio immateriale” è assai più tutelato di quello materiale. «Penso ad alcune processioni del Sud, come i Flagellanti di Guardia Sanframondi o il pellegrinaggio al santuario della Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia, dove non c'è famiglia, residente, ma ancor di più se emigrata, che non si tassi per mantenere riva la tradizione. Bendi più di quanto farebbero per salvare dal degrado un'area archeologica o un monumento».

In Italia
LE CONVENZIONI
L'Italia ha approvato ai Senato la convenzione Unesco sulle Diversità Culturali e approverà nei primi mesi del 2007 quella sui Beni lntangibili e Immateriali
LE TRADIZIONI
Le due convenzioni tutelano il patrimonio etnoantropologico italiano e mondiaie. Nella lista mondiale già figurano il Canto a Tenores e il teatro dei Pupi siciliani.
I CANDIDATI
Una volta approvata la convenzione gli uffici dell'Unesco stileranno la lista dei beni immateriali, feste, tradizioni, musiche da dichiarare patrimonio dell'umanità

Nel mondo
I PAESI
Sono circa 30 i Paesi che hanno ratificato la convenzioni sui Beni Immateriali, e molti quelli che già definiscono “beni culturail” le tradizioni popolari
LE REGOLE
Nel 2003 a Parigi l'Unesco ha tracciato le regole guida sulla tutela del patrimonio immateriale dell'Umanità e sulle Diversità Culturali
I RITI
Tra le tante tradizioni da proteggere e da salvare la Samba brasiliana, le rappresentazioni del Ramayana in India, il teatro Kabuki in Giappone

GLI ESEMPI
LA CORSA DELLE CONTRADE
La famosa e antica corsa dei cavalli e la disfida delle contrade è una delle feste storiche più importanti del mondo, e attrae ogni anno a Siena migliaia di turisti
LE VOCI DELLA SARDEGNA
Il Canto a Tenores sardo è una delle forme musicali più antiche della Sardegna. E' già stato inserito dall'Unesco nella lista dei Beni Intangibili
LA DANZA E LA TRANCE
La Taranta è una famosissima danza e musica pugliese oggi riscoperta e apprezzata in tuffo il mondo. Un ballo che poteva portare alla trance
TAMBURI E VESPRI
La festa dei Ceri di Gubbio si svolge a Ferragosto. I Ceri sono grandi macchine sulle quali sono issate le statue dei santi portate a spalla dai ceraioli del paese
SALVATI DALLA PESTE
La festa di Santa Rosalia si svolge a metà luglio a Palermo. Famosissima in tuffo il mondo, oggetto di enorme devozione, celebra la santa che salvò la città dalla peste
NEL GIORNO DELL’ASSUNTA
Ogni anno in agosto a Guardia Sanframondi, Benevento, si tiene la processione dei “Battenti”, uomini incappucciati che si percuotono con catenelle di ferro

domenica 4 maggio 2008

Tra lingue d´asfalto e siccità così resiste l´ultima transumanza

Tra lingue d´asfalto e siccità così resiste l´ultima transumanza
JENNER MELETTI
LUNEDÌ, 28 MAGGIO 2007, La Repubblica

Tre giorni di viaggio per portare 170 mucche a pascolare al fresco. Cercando i percorsi degli antichi "tratturi"

Dalla Puglia al Molise: "Migriamo, come le rondini"

PONTE civitate (foggia) - Sono agitate, le vacche, all´ombra della chiesa della Celeste Regina Maria Santissima del ponte. Anche gli uomini sono preoccupati. In piedi, come i loro cavalli, mangiano lasagne e pampanella, la carne di maiale cotta al forno con manciate di peperoncino. La caporala Castellana, la vacca anziana che guiderà la mandria, sa già che deve partire, perché le hanno messo al collo il campanaccio. Corre sotto gli alberi, guarda i campi, torna nel branco. Sembra cercare, nella sua memoria, la strada da seguire. Dietro di lei le altre anziane, con campanacci appena più piccoli. Poi le mucche e i vitelli che saranno la truppa di questo esercito di 170 animali che, fra pochi minuti, comincerà la transumanza. E´ l´unica rimasta in queste terre dove un tempo migliaia e migliaia di pecore e vacche partivano per andare al caldo prima dell´inverno e tornare in montagna quando il sole bruciava gli altopiani pugliesi. «Se metti i campanacci il giorno prima, le vacche spaccano il recinto e partono da sole».
Strana terra, questa, dove - come dice zi´ Nicola Colantuono, 71 anni, il più anziano dell´ultima famiglia transumante - «le mucche sono come le rondini, debbono migrare». Strana terra perché anche gli uomini e le donne che organizzano questo viaggio di tre giorni spaccandosi la schiena sui cavalli, potrebbero usare i camion e trasferire le bestie in tre ore. «Forse anche noi - dicono Carmelina, Felice, Antonio, Nunzio, Franco e zi´ Giuseppe, tutti Colantuono - come le nostre vacche abbiamo la tranzumanza nel Dna. Migrare è una cosa naturale. D´inverno noi e le nostre bestie stiamo bene in Puglia, e in estate viviamo al fresco delle montagne di Acquevive di Frosolone, in Molise. Le nostre vacche non hanno stalla: vivono all´aperto». Sono belle. Razza "podolica", portata qui dai Longobardi. Il viaggio non le spaventa. "Sanno" che dopo tre giorni troveranno gli altri pascoli, con l´erba e i fiori da mangiare.
Un fischio, tante grida, i cavalli spaventati dalle mucche che ancora non hanno infilato la strada giusta. Poi la caporala si mette in testa e le altre seguono il suono del suo campanaccio.
Non si faceva da cinque anni, la transumanza. Proibizioni e divieti delle autorità sanitarie, per evitare la diffusione della malattia ovina chiamata "lingua blu". Ma quest´anno i Colantuono hanno vinto la burocrazia e riportano le mucche sui tratturi aperti già dai Sanniti e tutelati dai Romani con una legge del 290 avanti Cristo. Salgono le colline, le mucche bianche. Scendono a bere al torrente Tona, poca acqua e molto fango. I tratturi erano le autostrade delle pecore e, dall´inizio del `900, delle vacche. Sulla carta esistono ancora (3.000 chilometri fra tratturi e tratturelli in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata) e sarebbero tutelati da un decreto ministeriale del 1976 come "beni di notevole interesse per l´archeologia, la storia politica, militare, economica, sociale e culturale". Ma basta seguire le mucche dei Colantuono per incontrare ostacoli e sbarramenti. I tratturi, qui, sono arrivati prima delle case. I paesi sono nati attorno a queste autostrade degli animali, dove c´erano le chiese e i campi di sosta per bestie e pastori. Guardi la mappa e seguendo il tratturo ti trovi ad esempio nella strada principale di Santa Croce di Magliano. Passano qui, le vacche della mandria, davanti alla statua di padre Pio, poi si fermano in un piazzale accanto al cimitero. L´antico campo sosta è stato trasformato in parco comunale.
C´è una gerarchia precisa, nella transumanza. Prima si curano le vacche, poi i cavalli e infine gli umani. Carmelina Colantuono, per la prima cena, ha preparato anche la micisca, carne di pecora seccata al sole con finocchietto, rosmarino, aglio e pepe. Si fa "rinvenire" scaldandola accanto al fuoco. E´ il momento dei ricordi. Nonno Nicola portava una mandria di 500 vacche, e le conosceva una per una. Anche le mucche di oggi hanno un nome: Damigella, Pellegrina, Fronnanuova, Bellasposa. «La nostra famiglia ha iniziato la transumanza già nei primi del ‘900. Aveva due o tre mucche, e raccoglieva quelle degli altri contadini. Del resto, il primo transumante da Acquevive alla Puglia fu un pastore che aveva una sola mucca. Era il suo tesoro, la voleva trattare bene. Aveva anche un cane: era così piccolo che lo teneva nella bisaccia». Nella notte scopri che esiste una cultura che rispetta gli animali e vuole che siano felici. «Le nostre mucche, sempre libere di correre nei pascoli, ci danno solo 10 litri di latte al giorno, non i 40 o 50 di quelle chiuse nelle stalle del Nord. E, come dice zi´ Nicola, il latte non si vende. Serve ai vitelli, per crescere. Solo quello che avanza viene trasformato in caciocavallo. Saremmo ricchi, se piantassimo pomodori e granoturno nei nostri pascoli. Ma tradiremmo il nostro passato. Finirebbe anche la transumanza, che è un incontro con i paesi e con le persone. Il latte munto durante il viaggio viene regalato a chi viene a guardare le nostre vacche».
All´alba rimbombano sull´asfalto, nel corso principale di Santa Croce, gli zoccoli delle mucche che tornano al tratturo. Hanno sete, perchè l´ultima acqua l´hanno trovata nel torrente Tona. I tratturi sono quasi tutti coltivati ma gli animali hanno diritto di passaggio. E´ il secondo giorno di viaggio e le bestie, per la prima volta a memoria d´uomo, incontrano il dramma della siccità. Scese da una montagna, corrono verso il fiume Cigno e lo trovano asciutto Un´altra salita, un´altra discesa verso una sorgente che però è senz´acqua. «Questo inverno non è arrivata la neve e la falda si è abbassata». Le mucche possono morire se lasciate a lungo senza bere: quando trovano l´acqua, ne bevono troppa e crollano a terra. I Colantuono chiedono aiuto. «Siamo quelli della transumanza, abbiamo un´emergenza». I vigili del fuoco sarebbero pronti a intervenire, ma non hanno acqua potabile. La Protezione civile deve essere "allertata" dal Comune e il sindaco chiede una domanda scritta. Sono le 10 del mattino, le vacche sono esauste. Per fortuna un contadino mette a disposizione la sua acqua. La Protezione civile sarebbe arrivata alle 15.
Ultima notte di sosta prima a Castropignano. I tratturi portano verso il verde delle montagne. Ad Acquevive è già in forno la pasta per i cavalieri. Le mucche troveranno tutto ciò che serve nei pascoli. «Quando torno nel mio letto - dice Carmelina - per notti e notti sento ancora i campanacci della transumanza. Mi sembra una musica».

venerdì 2 maggio 2008

Due castelli immersi nelle leggende

Il Mattino, 01/05/2008
LA STORIA
Due castelli immersi nelle leggende
Sotto Castel dell’Ovo Virgilio depose un uovo per preservare la città da pestilenze e sventure

Due castelli, un lungo e intramontabile intreccio fra storia e mito. Castel Nuovo (Maschio Angioino) e Castel dell’Ovo, sono due dei principali manieri napoletani, e attorno ad essi sono fiorite antiche leggende. Il Castel Nuovo, meglio noto come Maschio Angioino, è uno dei simboli più rappresentativi di Napoli ed è tra i castelli più famosi d’Italia. Con la sua possente sagoma domina la scenografica Piazza Municipio, creando una cornice di indiscutibile fascino. La sua costruzione si deve a Carlo d'Angiò, capostipite della dinastia francese a Napoli, che, entrato in città dopo aver sgominato gli ultimi Svevi (prima Manfredi e qualche anno dopo il nipote Corradino) non avendo trovato una dimora adeguata a Castel Capuano (fatto edificare dai Normanni), decise di costruirsi una reggia fortificata sul mare. Morto Carlo d’Angiò la costruzione, già avviata, fu completata dal figlio Carlo II, detto lo Zoppo. Quell’originario castello fu però poi ampliato e modificato da Alfonso il Magnanimo, quando gli aragonesi, più di un secolo dopo, unificarono le corone di Napoli e della Sicilia. All’interno delle stanze del castello, quando era ancora sotto il dominio dei Durazzo d’Angiò, si celebrarono gli amori e gli onori della regina Giovanna. Anche Castel dell’Ovo vive tra storia e leggenda. Sull’antico isolotto di Megaride, che la leggenda indica come luogo di approdo del corpo della sirena Parthenope (che si era suicidata per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse che passava con la sua imbarcazione davanti a l’isolotto Li Galli), sorge appunto il castello, uno dei manieri più antichi e suggestivi della città. Il castello lega il suo nome al mito sorto in epoca medioevale di un uovo magico capace di preservare la città e i suoi abitanti da sciagure e pericoli: Virgilio, il celebre cantore delle gesta di Enea, l’avrebbe nascosto in un luogo segreto del castello, protetto in una caraffa inserita in una gabbia. Grande poeta latino, Publio Virgilio Marone (70-19 avanti Cristo) in età medievale acquisì un alone leggendario: alla sua figura furono associati poteri magici ed esoterici. Virgilio mago e benefattore di Napoli, proprio perchè avrebbe collocato in un luogo segreto del castello l’uovo, da cui prese il nome. Quell’uovo ovviamente non si mai trovato, ma proprio per questo la leggenda continua.
l.z.

Alla scoperta dei monti Sibillini

Corriere Adriatico, 1 maggio 2008
Un volume prezioso perché segnala sentieri, località e avvenimenti persi nel mito leggendario
Un bel libro di Massimo Spagnoli, speleologo ed accompagnatore del Cai
Alla scoperta dei monti Sibillini

FERMO - Tra le tante e suggestive mète per una escursione sulle nostre splendide montagne, perchè non avventurarsi tra i “Sentieri e luoghi dimenticati dei monti Sibillini”? E’ questo il titolo del bel libro uscito in questi giorni, di Massimo Spagnoli accompagnatore di escursionismo del Cai, speleologo e coordinatore del Gruppo Cavità Artificiali di speleologia archeologica. Quasi 140 pagine in cui vengono minuziosamente descritti ben venti sentieri dell’Appennino centrale che Massimo Spagnoli ha cercato con successo di riscoprire e percorrere. “Sono andato alla scoperta – spiega Spagnoli – delle più antiche tracce dell’uomo. Su sentieri non più percorsi, con la passione per i monti Sibillini. Anche per chi li ha già attraversati in lungo e in largo.”

E il significato di questa opera è proprio nel fascino dell’esplorazione e della riscoperta di antiche vie su questi monti fatali perché nel nome dei Sibillini è racchiuso anche il mistero di antiche leggende. “Un volume prezioso – sottolinea Vincenzo Antonelli, studioso e cultore della montagna - perché segnala sentieri, località, avvenimenti persi nel mito leggendario, in una particolare e minuziosa ricerca storica. La lettura di questo volumetto è già di per sé particolarmente piacevole, perché stimola la fantasia e la voglia di ripercorrere sentieri dimenticati, di ritrovare attraverso un più stretto e consapevole contatto con la natura e con l’antico e moderno vivere dell’uomo.”

La trattazione di ciascun sentiero è accompagnata da suggestive fotografie, cartografie e precise illustrazioni che permettono di localizzare e visualizzare immediatamente il percorso. Si attraversa così il sentiero “delle piogge” tra le boscaglie a levante della Punta Ragnolo oltre la chiesa di San Liberato, o il sentiero di San Leonardo nelle imponenti gole dell’infernaccio. C’è il sentiero degli agrifogli, quello verderame, o ancora quello incantato del tempio della Sibilla, della Vaza dell’Orso, dello scoglio del miracolo, del sentiero Ramantico.

Un’opera utile, piacevole e originale, di interessante lettura che si discosta dai canoni delle consuete guide più o meno specialistiche.

Un’opera che vuole anche educare al rispetto e all’amore per la natura. Nell’introduzione l’autore ha voluto infatti la frase “Prenditi cura del tuo pianeta prima che i figli dei tuoi figli non possano godere delle meraviglie che ci circondano”. E in coda al libro Spagnoli ha voluto inserire alcune “variazioni sul tema”, dedicate alle energie rinnovabili, al geotermico e all`eolico, grande opportunità per la sopravvivenza del nostro pianeta

Il libro è stato pubblicato con il contributo del Club Alpino Italiano, sezione di Amandola con il patrocinio della sezione del Fermano di Italia Nostra , dall`Archeoclub di Fermo e da Eurosystem.