Corriere di Viterbo, 17 agosto 2009
Pulcinella è “nato” in Etruria.
La maschera napoletana affonda le radici proprio nella cultura e nella storia dei Tirreni. Nella necropoli di Tarquinia c’è una tomba con il suo nome.
Gli etruschi sono dappertutto e ci sono alla grande. Ormai l'esercito di turisti a caccia degli enigmatici Tirreni si ingrossa come un fiume in piena. I siti archeologici sono presi letteralmente d’assalto. Ma i misteri intorno a questo popolo sono come gli “esami” di Eduardo De Filippo: non finiscono mai. Non molti, infatti, sanno che l'origine della maschera di Pulcinella, considerata uno dei simboli di Napoli al pari del Vesuvio, affonda invece le sue profonde radici addirittura nella cultura etrusca. Una bella doccia fredda per molti partenopei così attaccati alle loro tradizioni come la mozzarella sulla meravigliosa pizza margherita che si mangia a Posillipo. Ma andiamo a scavare un po’ più a fondo e, soprattutto, spostiamoci a Tarquinia. In località Monterozzi, infatti, esiste una tomba detta appunto del “Pulcinella”. Un vero macigno gettato nello stagno delle conoscenze. Le pitture di questa tomba, che fu scoperta nel 1872 e risale alla fine del VI secolo a.C., sono state, purtroppo, danneggiate dai clandestini. Essa consiste in una camera con soffitto a doppio spiovente. Sul frontone della parete di fondo due leoni fronteggiano la mensola di sostegno del columen. Sulle pareti laterali, dalla cui sommità pendono corone floreali, si svolgono danze, musiche, gare atletiche e corse a cavallo in onore del defunto. Interessante la lira fornita di plettro dipinta al centro della parete di fondo ed il Phersu danzante sulla parete sinistra che si è voluto accostare alla maschera di Pulcinella prima maniera, quello apparso sulle scene con la Commedia dell’Arte. Divertente, grottesco, sguaiato. Gobbo e dal ventre prominente, un voluminoso abito bianco (forse un sudario?) e una maschera dal naso lungo e deforme, una voce stridula a tratti inquietante a tratti semplicemente comica. La tradizione ufficiale vuole che “Pulcinella Cetrulo” sia nato ad Acerra (sarebbe stato addirittura un contadino particolarmente noto per le sue buffonerie, poi reclutato in una compagnia di attori cittadini). Altri attribuiscono l’invenzione della sua maschera all’attore Silvio Fiorillo di Capua, a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Più generalmente si usa far risalire la sua figura alle farse atellane del IV secolo a.C., e alla tradizione latina del Maccus. Tuttavia, dietro l'immagine comica e alquanto rassicurante di una delle figure più popolari della Commedia dell’Arte, è possibile dipanare i fili di una mitologia ben più inquietante. Una serie di indizi e studi specifici la ricondurrebbero, infatti, proprio a un terrificante e feroce demone etrusco: Phersu, membro della corte di Persefone, regina degli Inferi. E questo personaggio lo troviamo, sempre a Tarquinia, anche nella tomba detta degli Auguri. In questo caso si tratta di una vera e propria creatura infernale alle prese con un crudele gioco che ha come protagonisti un essere mascherato e con berretto appuntito (il Phersu, appunto) che tiene al guinzaglio un cane e lo aizza contro un individuo incappucciato e armato di una grossa clava nodosa. Probabilmente un prigioniero da giustiziare. E continuando su questo filone si sprecano i racconti popolari che vorrebbero Pulcinella nato dalle viscere del Vesuvio, considerata una delle “bocche dell'Inferno” da un uovo comparso per volere del dio Plutone (il consorte di Persefone, guarda caso). Esiste un’incredibile e sterminata bibliografia su questa maschera e sulle sue origini, sicuramente la più universalmente popolare (alla pari solo di Arlecchino, probabilmente) e incarnata in quell’archetipo universale che studiosi del calibro di Karl Gustav Jung e Karol Kerenyi definirono “il briccone divino”. Pulcinella un significato storico ce l’ha, ma anche artistico-culturale e soprattutto psico-sociale. Descrive chiaramente una perenne emergenza. Simboleggia oggi l’inerme plebeo napoletano che stanco degli abusi e delle umiliazioni perpetrate dalla cinica nobiltà e borghesia, istintivamente senza aver maturato una coscienza del proprio ruolo sociale, si ribella ai potenti, a coloro che nel corso dei secoli hanno imposto una vita dura e avversa al popolo. Quindi ogni partenopeo-Pulcinella con la sua ironia e con la sua forza si burla di ogni forma di potere costituito ed essendo esso stesso l’anima del popolo rispecchia il desiderio di ribellione e di rivincita in ogni sua forma, incarnando il rifiuto per eccellenza di ogni regola o norma, recepite come imposizione e legge estranea-straniera. La sua grande versatilità e adattamento si traducono poi nello sbeffeggiare la tragicità esistenziale con qualche imbroglio o a fare dispetti. E se non impara mai a stare zitto “il segreto di Pulcinella” diventa condivisione del “tutto con tutti”. Nella storiografia Pulcinella, come abbiamo detto, si può rintracciare fra i vari personaggi delle Fabulae Atellanae nate, appunto, ad Acerra. Ma guarda caso città come Acerra, Nola e Sorrento furono colonie etrusche. In questo modo i nodi della matassa si collegano e si stringono. E Pulcinella diventa cittadino onorario d’Etruria
Riccardo Cecchelin
Pulcinella è “nato” in Etruria.
La maschera napoletana affonda le radici proprio nella cultura e nella storia dei Tirreni. Nella necropoli di Tarquinia c’è una tomba con il suo nome.
Gli etruschi sono dappertutto e ci sono alla grande. Ormai l'esercito di turisti a caccia degli enigmatici Tirreni si ingrossa come un fiume in piena. I siti archeologici sono presi letteralmente d’assalto. Ma i misteri intorno a questo popolo sono come gli “esami” di Eduardo De Filippo: non finiscono mai. Non molti, infatti, sanno che l'origine della maschera di Pulcinella, considerata uno dei simboli di Napoli al pari del Vesuvio, affonda invece le sue profonde radici addirittura nella cultura etrusca. Una bella doccia fredda per molti partenopei così attaccati alle loro tradizioni come la mozzarella sulla meravigliosa pizza margherita che si mangia a Posillipo. Ma andiamo a scavare un po’ più a fondo e, soprattutto, spostiamoci a Tarquinia. In località Monterozzi, infatti, esiste una tomba detta appunto del “Pulcinella”. Un vero macigno gettato nello stagno delle conoscenze. Le pitture di questa tomba, che fu scoperta nel 1872 e risale alla fine del VI secolo a.C., sono state, purtroppo, danneggiate dai clandestini. Essa consiste in una camera con soffitto a doppio spiovente. Sul frontone della parete di fondo due leoni fronteggiano la mensola di sostegno del columen. Sulle pareti laterali, dalla cui sommità pendono corone floreali, si svolgono danze, musiche, gare atletiche e corse a cavallo in onore del defunto. Interessante la lira fornita di plettro dipinta al centro della parete di fondo ed il Phersu danzante sulla parete sinistra che si è voluto accostare alla maschera di Pulcinella prima maniera, quello apparso sulle scene con la Commedia dell’Arte. Divertente, grottesco, sguaiato. Gobbo e dal ventre prominente, un voluminoso abito bianco (forse un sudario?) e una maschera dal naso lungo e deforme, una voce stridula a tratti inquietante a tratti semplicemente comica. La tradizione ufficiale vuole che “Pulcinella Cetrulo” sia nato ad Acerra (sarebbe stato addirittura un contadino particolarmente noto per le sue buffonerie, poi reclutato in una compagnia di attori cittadini). Altri attribuiscono l’invenzione della sua maschera all’attore Silvio Fiorillo di Capua, a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Più generalmente si usa far risalire la sua figura alle farse atellane del IV secolo a.C., e alla tradizione latina del Maccus. Tuttavia, dietro l'immagine comica e alquanto rassicurante di una delle figure più popolari della Commedia dell’Arte, è possibile dipanare i fili di una mitologia ben più inquietante. Una serie di indizi e studi specifici la ricondurrebbero, infatti, proprio a un terrificante e feroce demone etrusco: Phersu, membro della corte di Persefone, regina degli Inferi. E questo personaggio lo troviamo, sempre a Tarquinia, anche nella tomba detta degli Auguri. In questo caso si tratta di una vera e propria creatura infernale alle prese con un crudele gioco che ha come protagonisti un essere mascherato e con berretto appuntito (il Phersu, appunto) che tiene al guinzaglio un cane e lo aizza contro un individuo incappucciato e armato di una grossa clava nodosa. Probabilmente un prigioniero da giustiziare. E continuando su questo filone si sprecano i racconti popolari che vorrebbero Pulcinella nato dalle viscere del Vesuvio, considerata una delle “bocche dell'Inferno” da un uovo comparso per volere del dio Plutone (il consorte di Persefone, guarda caso). Esiste un’incredibile e sterminata bibliografia su questa maschera e sulle sue origini, sicuramente la più universalmente popolare (alla pari solo di Arlecchino, probabilmente) e incarnata in quell’archetipo universale che studiosi del calibro di Karl Gustav Jung e Karol Kerenyi definirono “il briccone divino”. Pulcinella un significato storico ce l’ha, ma anche artistico-culturale e soprattutto psico-sociale. Descrive chiaramente una perenne emergenza. Simboleggia oggi l’inerme plebeo napoletano che stanco degli abusi e delle umiliazioni perpetrate dalla cinica nobiltà e borghesia, istintivamente senza aver maturato una coscienza del proprio ruolo sociale, si ribella ai potenti, a coloro che nel corso dei secoli hanno imposto una vita dura e avversa al popolo. Quindi ogni partenopeo-Pulcinella con la sua ironia e con la sua forza si burla di ogni forma di potere costituito ed essendo esso stesso l’anima del popolo rispecchia il desiderio di ribellione e di rivincita in ogni sua forma, incarnando il rifiuto per eccellenza di ogni regola o norma, recepite come imposizione e legge estranea-straniera. La sua grande versatilità e adattamento si traducono poi nello sbeffeggiare la tragicità esistenziale con qualche imbroglio o a fare dispetti. E se non impara mai a stare zitto “il segreto di Pulcinella” diventa condivisione del “tutto con tutti”. Nella storiografia Pulcinella, come abbiamo detto, si può rintracciare fra i vari personaggi delle Fabulae Atellanae nate, appunto, ad Acerra. Ma guarda caso città come Acerra, Nola e Sorrento furono colonie etrusche. In questo modo i nodi della matassa si collegano e si stringono. E Pulcinella diventa cittadino onorario d’Etruria
Riccardo Cecchelin