Cile, la rivolta dei detenuti mapuche
di Geraldina Colotti
Il Manifesto del 13/01/2008
Il caso di uno studente ucciso dalla polizia fa riesplodere la protesta della minoranza indigena
Torna in scena la questione Mapuche in Cile. Alla morte del giovane studente Matias Katrileo Quezada, 22 anni, sepolto domenica scorsa, ucciso dai proiettili di un carabinero, potrebbe aggiungersi quella di Patricia Troncoso, da 90 giorni in sciopero della fame e ricoverata all'Hospital Angol di Temuco in condizioni disperate. Altri quattro mapuche, detenuti nel carcere di Angol a Temuco, hanno invece sospeso lo sciopero della fame con cui chiedevano la revisione del processo e il riconoscimento dei loro diritti.
Ieri il risultato delle perizie ordinate dal giudice istruttore che ha messo sotto inchiesta il sottufficiale dei carabinieri cileni Walter Ramirez Espinoza, ha confermato che a uccidere lo studente è stato il proiettile di un'arma di ordinanza. Le associazioni per i diritti umani hanno chiesto garanzie perché il procedimento non venga affidato a un tribunale militare, come già accaduto in un caso analogo recente. Due deputati socialisti (il partito della presidente Michelle Bachelet) hanno presentato interrogazioni parlamentari su tutta la vicenda, e anche l'ex giudice Juan Guzman - noto per avere perseguito i crimini di Pinochet e ora in pensione come avvocato - ha presentato al Consiglio per i diritti umani di Ginevra la lettera di un capo mapuche. Lettere di protesta sono state inoltre presentate alle ambasciate del Cile nel mondo e anche a Roma: «Speriamo che la morte del giovane Matías Katrileo sia l'ultima - ha dichiarato il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel in un appello al governo cileno - e che una volta per tutte venga abolita la Legge antiterrorista e ratificata la direttiva Onu 169 sui diritti dei popoli indigeni».
L'abolizione della Legge antiterrorismo, insieme alla liberazione dei prigionieri politici e all'autodeterminazione, è una delle tre rivendicazioni avanzate da anni dai mapuche. Per quanto riguarda la 169, invece, il loro accordo non c'è, perché - sostengono - sta per essere ratiticata dal senato in una forma «mutilata». E rigettano la palla nel campo del governo. Michelle Bachelet - impegnata in un significativo rimpasto di governo - l'altroieri ha nominato una commissione di ministri: «per studiare e valutare le attuali politiche nei confronti dei mapuche e della questione indigena in generale». A presiedere il gruppo, il sociologo Jaime Andrade, che ebbe un analogo incarico nel governo precedente. Una via già percorsa e già fallita, per i mapuche, soprattutto finché rimane in piedi la legge antiterrorismo varata da Pinochet. Dai tempi del golpe militare - che oppresse il paese dal 1973 al '90, stroncando anche la riforma agraria iniziata da Salvador Allende -, i mapuche vengono perseguiti con particolare accanimento in base a questa legge. Basta che ricevano una condanna a dieci anni e un giorno, per essere esclusi dalle cosiddette misure alternative alla detenzione.
Dieci anni e un giorno sconta Patricia Troncoso per l'incendio del Fondo Poluco-Pidenco della Forestal Mininco. Se fosse stata giudicata secondo la legge ordinaria, sarebbe già fuori dal carcere. Ora, invece, è una detenuta con pochissime speranze di sopravvivere, ma finché ha avuto forze, ha scritto che morire non la spaventa se serve al suo popolo.
Quello mapuche è il popolo che, in America, si è opposto con più continuità alle dominazioni coloniali nel corso della storia: prima all'espansione degli incas e poi a quella degli spagnoli. Sopravvissuto anche all'immane massacro dell'esercito spagnolo che, nella seconda metà dell'Ottocento, tentò di spazzarlo via, e alle prigioni di Pinochet, e ora intenzionato a preservare il proprio millenario ordinamento sociale e ambientale dall'imposizione delle monoculture, dalle devastazioni ambientali. Non hanno documenti scritti, ma quelle terre sono le loro.
Oggi i mapuche sono un milione circa, sparsi tra le regioni centromeridionali del paese e la capitale Santiago. Nel corso del 2007, almeno 166 di loro sono stati accusati di diversi reati connessi al conflitto che interessa la «IX Region»: disordini, occupazioni, incendi. Secondo le imputazioni, si aggirano armati a sparare agli elicotteri delle multinazionali. I loro avvocati denunciano invece processi farsa, testimoni pagati e mascherati, e armi lasciate apposta nelle università per accusare poi i mapuche che vanno a restituirle. I mapuche, dicono, bruciano solo le devastanti radici di eucalipto che le multinazionali diffondono sui territori.Rivendicano, però, il diritto di resistenza.
di Geraldina Colotti
Il Manifesto del 13/01/2008
Il caso di uno studente ucciso dalla polizia fa riesplodere la protesta della minoranza indigena
Torna in scena la questione Mapuche in Cile. Alla morte del giovane studente Matias Katrileo Quezada, 22 anni, sepolto domenica scorsa, ucciso dai proiettili di un carabinero, potrebbe aggiungersi quella di Patricia Troncoso, da 90 giorni in sciopero della fame e ricoverata all'Hospital Angol di Temuco in condizioni disperate. Altri quattro mapuche, detenuti nel carcere di Angol a Temuco, hanno invece sospeso lo sciopero della fame con cui chiedevano la revisione del processo e il riconoscimento dei loro diritti.
Ieri il risultato delle perizie ordinate dal giudice istruttore che ha messo sotto inchiesta il sottufficiale dei carabinieri cileni Walter Ramirez Espinoza, ha confermato che a uccidere lo studente è stato il proiettile di un'arma di ordinanza. Le associazioni per i diritti umani hanno chiesto garanzie perché il procedimento non venga affidato a un tribunale militare, come già accaduto in un caso analogo recente. Due deputati socialisti (il partito della presidente Michelle Bachelet) hanno presentato interrogazioni parlamentari su tutta la vicenda, e anche l'ex giudice Juan Guzman - noto per avere perseguito i crimini di Pinochet e ora in pensione come avvocato - ha presentato al Consiglio per i diritti umani di Ginevra la lettera di un capo mapuche. Lettere di protesta sono state inoltre presentate alle ambasciate del Cile nel mondo e anche a Roma: «Speriamo che la morte del giovane Matías Katrileo sia l'ultima - ha dichiarato il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel in un appello al governo cileno - e che una volta per tutte venga abolita la Legge antiterrorista e ratificata la direttiva Onu 169 sui diritti dei popoli indigeni».
L'abolizione della Legge antiterrorismo, insieme alla liberazione dei prigionieri politici e all'autodeterminazione, è una delle tre rivendicazioni avanzate da anni dai mapuche. Per quanto riguarda la 169, invece, il loro accordo non c'è, perché - sostengono - sta per essere ratiticata dal senato in una forma «mutilata». E rigettano la palla nel campo del governo. Michelle Bachelet - impegnata in un significativo rimpasto di governo - l'altroieri ha nominato una commissione di ministri: «per studiare e valutare le attuali politiche nei confronti dei mapuche e della questione indigena in generale». A presiedere il gruppo, il sociologo Jaime Andrade, che ebbe un analogo incarico nel governo precedente. Una via già percorsa e già fallita, per i mapuche, soprattutto finché rimane in piedi la legge antiterrorismo varata da Pinochet. Dai tempi del golpe militare - che oppresse il paese dal 1973 al '90, stroncando anche la riforma agraria iniziata da Salvador Allende -, i mapuche vengono perseguiti con particolare accanimento in base a questa legge. Basta che ricevano una condanna a dieci anni e un giorno, per essere esclusi dalle cosiddette misure alternative alla detenzione.
Dieci anni e un giorno sconta Patricia Troncoso per l'incendio del Fondo Poluco-Pidenco della Forestal Mininco. Se fosse stata giudicata secondo la legge ordinaria, sarebbe già fuori dal carcere. Ora, invece, è una detenuta con pochissime speranze di sopravvivere, ma finché ha avuto forze, ha scritto che morire non la spaventa se serve al suo popolo.
Quello mapuche è il popolo che, in America, si è opposto con più continuità alle dominazioni coloniali nel corso della storia: prima all'espansione degli incas e poi a quella degli spagnoli. Sopravvissuto anche all'immane massacro dell'esercito spagnolo che, nella seconda metà dell'Ottocento, tentò di spazzarlo via, e alle prigioni di Pinochet, e ora intenzionato a preservare il proprio millenario ordinamento sociale e ambientale dall'imposizione delle monoculture, dalle devastazioni ambientali. Non hanno documenti scritti, ma quelle terre sono le loro.
Oggi i mapuche sono un milione circa, sparsi tra le regioni centromeridionali del paese e la capitale Santiago. Nel corso del 2007, almeno 166 di loro sono stati accusati di diversi reati connessi al conflitto che interessa la «IX Region»: disordini, occupazioni, incendi. Secondo le imputazioni, si aggirano armati a sparare agli elicotteri delle multinazionali. I loro avvocati denunciano invece processi farsa, testimoni pagati e mascherati, e armi lasciate apposta nelle università per accusare poi i mapuche che vanno a restituirle. I mapuche, dicono, bruciano solo le devastanti radici di eucalipto che le multinazionali diffondono sui territori.Rivendicano, però, il diritto di resistenza.