CORRIERE ROMAGNA
Formule per bruciare l'inverno edifendere i raccolti
dal "Corriere romagna.it" martedì 18 marzo 2003
E' la tradizione ad alimentare i fuochi di San Giuseppe. Unatradizione mai sopita, antica come buona parte delle culture. Ilculto di San Giuseppe è antichissimo, anche se nell'occidentesi diffuse solo nel 9° secolo, per diventare poi liturgico nel 1400.La vecchia tradizione risulta comunque assai più antica: l'origineè da far risalire alle feste compitali che onoravano, con i fuochi,la nonna dei Lari, la dea Larunda e la dea Mania, l'immaginedella quale era esposta sulle facciate delle case. Altre ricercheconfermano che l'accensione dei fuochi in marzo era anche unatradizione dell'antica Roma: i pastori cercavano con questi falòdi propiziarsi anche i favori della dea Palilia, protettrice deiraccolti e delle messi. Alcuni ritengono addirittura che i falòabbiano addirittura tradizioni celtiche. In epoca moderna icontadini bruciavano le potature poichè, in questo modo sibruciava ed esorcizzava l'inverno (e il maligno). Spesso ilfantoccio di una strega veniva posizionato sulla catasta di legna.Infine, sempre legata a marzo e alla luce, c'è un'altra curiosausanza che è stata attiva in Romagna fino a tutto il 1800: quelladi mostrare il deretano al dio Sole. Ma non si trattava di unsegno di spregio: era un modo per preservarsi dalle scottaturedella pelle (facili nel periodi di lavoro nei campi) ma soprattuttoper difendere i raccolti. Allo spuntar del sole, i romagnoli siscoprivano il deretano e lo mostravano al sole nascente (c'erachi saliva anche sul tetto di casa per farlo). La formula darecitare era: "Merz, cùsom quest e nò m'cusr ét" (Marzo,abbronzami questo e non cuocermi altro).Filippo Cappelli