Il Gazzettino, 18 aprile 2008
Alcuni vetusti e giganteschi castagni (come quello dei "Cento cavalli" di Sant' Alfio, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania, a cui abbiamo dedicato la "puntata" precedente), assurti a celebrità nazionale, testimoniano la straordinaria longevità dell'albero. L'albero ricordato ed altri poderosi esemplari (che ancora continuano a vegetare sulle pendici dell'Etna) sono testimonianze viventi di un vigore vegetativo impressionante. Ma anche altri, senz'altro più "modesti" (sia per dimensione che per "battage" mass-mediatico), hanno fatto da "fondale" a leggende e miti. Ci limitiamo alla nostra regione per citare, in particolare, solo due esempi (fra i tanti).
Il primo.E' il castagno della Valcolvera (in comune di Frisanco - Pordenone). Si trova prima di arrivare in Valdifrina, a destra della strada. La sua circonferenza (a un metro d'altezza dal suolo) è di 5 metri e 10 centimetri. Qualcuno lo chiama "il castagno dei cento folletti". Forse questo nome vuol far riferimento ai tanti folletti che, secondo la tradizione popolare, abitavano la zona e si ritrovavano sotto questo albero. Il più noto era il "maciaroul". Il cui nome deriva evidentemente da "macia" (= bastone). Il "maciaroul" era un omino piccolo piccolo, sempre vestito di rosso e con un berretto (pure rosso) che terminava a punta con un campanello attaccato. Viveva sulle montagne, si spostava continuamente (e con grande rapidità) nell'area compresa fra il Monte Raut e il Monte Jouf e aveva sempre, appunto, un bastone. E di esso si serviva per fare le sue magie. Si aggirava infatti dove le pecore erano al pascolo e in questi luoghi tracciava (proprio col bastone!) un cerchio. Da esso le pecore non potevano uscire e, forse, si nutriva proprio del loro latte. Per riportarle all'ovile, il pastore doveva chiamare il prete. Solo con una sua particolare preghiera riusciva a smuoverle e a farle uscire dal cerchio. Abbiamo cercato riscontri recenti a questa leggenda. Abbiamo così riascoltato la trasmissione che la radio-tv "Capodistria" ha dedicato (alcuni anni fa) alle leggende della Val Colvera e a questo castagno. Abbiamo consultato il bollettino parrocchiale "Eco della Valcolvera" (della parrocchia di Frisanco, Poffabro e Casasola). Nel numero del dicembre 2006 del periodico abbiamo trovato la foto di questo castagno, ma nessuna conferma circa la leggenda. Essa comunque è certamente verosimile. Basti pensare che a Poffabro (frazione di Frisanco e ufficialmente incluso tra i cento borghi più belli d'Italia) le caratteristiche case in pietra (semplici e austere) hanno non solo le travi dei tetti, ma anche i caratteristici ballatoi in legno di castagno. Tutto ciò è una conferma che il castagno ha rappresentato (e rappresenta) qualcosa di veramente importante per la zona. E per tutte le zone della pedemontana della nostra regione.
Il secondo.Spostiamoci nel Gemonese. E' la "liénde dal rìul Stuàrt" (in realtà la leggenda è intitolata "La magne dal Riul Stuart"), cioè la leggenda del rio "Stuàrt". Essa è tratta dalla monumentale opera di Valentino Ostermann, poeta e raccoglitore di tanti racconti e leggende popolari . Molti racconti riportati dall'Ostermann - come quello che riferiremo tra poco - sono legati alla storia di Gemona, o, pur presenti a volte in altre località del Friuli, comunque ambientati in questo territorio. Sul n.10 del 1889 di "Pagine Friulane" leggiamo proprio quanto segue. "Tra Glemone e Maniae (borgata in comune di Gemona) scôr il Riul Stuart che forsi l'ha vt chel non pal puint su la strade postâl, tant bestialmenti costruît dut a zirevoltis che al somee una S". Continuiamo la trascrizione della leggenda riportata da Ostermann servendoci di una libera "traduzione" in italiano. Non certo per aumentare l'"audience", ma per rispetto al lettore (che è anche non friulano): "Sul prato vicino al rìul Stuàrt, una vecchietta portava ogni giorno la mucca al pascolo. Si sedeva all'ombra di un castagno e sferruzzava recitando il rosario. Un giorno si accorse che la mucca dava poco latte e non capiva perché, fino a quando non si accorse che da un cespuglio usciva una vipera. La serpe sputava un liquido verde e nero sui sassi per segnare il suo percorso e poi si attaccava alla mucca per berne il latte. Il giorno dopo, la vipera uscì dal suo cespuglio, sputò come al solito il veleno che nel frattempo, però, la vecchietta ricoprì con la terra. Così, quando la biscia uscì di nuovo, non trovò più il suo veleno; impietrita, battè il capo conto i sassi e morì. In questo modo l'anziana riebbe il suo latte, standosene sempre all'ombra del grande castagno".
Se il castagno ha "radici" profonde nelle leggende della nostra regione, non minor spazio trova in altre culture. Citiamo, ad esempio, il famoso scrittore Hermann Hesse. Egli inizia il suo splendido libro "Narciso e Boccadoro" descrivendo proprio il castagno posto davanti al convento di Mariabronn ("corruzione" di Malbrunn, nel Baden Wuertemberg, nel cui seminario Hesse studiò per un semestre). Egli lo raffigura come "un solitario figlio del Sud", un insolito albero per l'Europa centrale, dove è ambientata la storia. Poco più avanti egli gli assegna l'attributo di "esotico", a ribadire che tale pianta proviene da altre regioni, ma non troppo lontane. Come è, appunto, la nostra. E una conferma che il castagno sia un albero del Sud la abbiamo leggendo "Arboreto selvatico" di Mario Rigoni Stern. Parlando del castagno (in relazione alla sua zona, cioè l'altopiano di Asiago), si chiede infatti: "Ma perché i nostri avi non hanno mai provveduto a piantare castagni? Forse perché erano scesi dal lontano Nord e lassù altri erano gli alberi a cui erano legati? Ma ai piedi delle nostre montagne, sia verso la pianura veneta che verso il Tirolo, ci sono ancora antichi castagneti".
Prima di chiudere questo particolare "capitolo" facciamo riferimento ancora a due "esemplari" (tanto per dimostrare coi fatti che il castagno ha permeato le più diverse culture): il "castagno di Sancerre" (cittadina storica della Francia) e quello che gli inglesi ricordano come castagno denominato "il grande albero di Tortworth" che, secondo le leggende, era assai più antico del loro re Giovanni (quale non è dato però sapere).
(4 - continua)
A cura dell'Associazione Forestali d'Italia
e della Direzione centrale delle risorse agricole, forestali, naturali e montagna
della regione Friuli Venezia Giulia
Alcuni vetusti e giganteschi castagni (come quello dei "Cento cavalli" di Sant' Alfio, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania, a cui abbiamo dedicato la "puntata" precedente), assurti a celebrità nazionale, testimoniano la straordinaria longevità dell'albero. L'albero ricordato ed altri poderosi esemplari (che ancora continuano a vegetare sulle pendici dell'Etna) sono testimonianze viventi di un vigore vegetativo impressionante. Ma anche altri, senz'altro più "modesti" (sia per dimensione che per "battage" mass-mediatico), hanno fatto da "fondale" a leggende e miti. Ci limitiamo alla nostra regione per citare, in particolare, solo due esempi (fra i tanti).
Il primo.E' il castagno della Valcolvera (in comune di Frisanco - Pordenone). Si trova prima di arrivare in Valdifrina, a destra della strada. La sua circonferenza (a un metro d'altezza dal suolo) è di 5 metri e 10 centimetri. Qualcuno lo chiama "il castagno dei cento folletti". Forse questo nome vuol far riferimento ai tanti folletti che, secondo la tradizione popolare, abitavano la zona e si ritrovavano sotto questo albero. Il più noto era il "maciaroul". Il cui nome deriva evidentemente da "macia" (= bastone). Il "maciaroul" era un omino piccolo piccolo, sempre vestito di rosso e con un berretto (pure rosso) che terminava a punta con un campanello attaccato. Viveva sulle montagne, si spostava continuamente (e con grande rapidità) nell'area compresa fra il Monte Raut e il Monte Jouf e aveva sempre, appunto, un bastone. E di esso si serviva per fare le sue magie. Si aggirava infatti dove le pecore erano al pascolo e in questi luoghi tracciava (proprio col bastone!) un cerchio. Da esso le pecore non potevano uscire e, forse, si nutriva proprio del loro latte. Per riportarle all'ovile, il pastore doveva chiamare il prete. Solo con una sua particolare preghiera riusciva a smuoverle e a farle uscire dal cerchio. Abbiamo cercato riscontri recenti a questa leggenda. Abbiamo così riascoltato la trasmissione che la radio-tv "Capodistria" ha dedicato (alcuni anni fa) alle leggende della Val Colvera e a questo castagno. Abbiamo consultato il bollettino parrocchiale "Eco della Valcolvera" (della parrocchia di Frisanco, Poffabro e Casasola). Nel numero del dicembre 2006 del periodico abbiamo trovato la foto di questo castagno, ma nessuna conferma circa la leggenda. Essa comunque è certamente verosimile. Basti pensare che a Poffabro (frazione di Frisanco e ufficialmente incluso tra i cento borghi più belli d'Italia) le caratteristiche case in pietra (semplici e austere) hanno non solo le travi dei tetti, ma anche i caratteristici ballatoi in legno di castagno. Tutto ciò è una conferma che il castagno ha rappresentato (e rappresenta) qualcosa di veramente importante per la zona. E per tutte le zone della pedemontana della nostra regione.
Il secondo.Spostiamoci nel Gemonese. E' la "liénde dal rìul Stuàrt" (in realtà la leggenda è intitolata "La magne dal Riul Stuart"), cioè la leggenda del rio "Stuàrt". Essa è tratta dalla monumentale opera di Valentino Ostermann, poeta e raccoglitore di tanti racconti e leggende popolari . Molti racconti riportati dall'Ostermann - come quello che riferiremo tra poco - sono legati alla storia di Gemona, o, pur presenti a volte in altre località del Friuli, comunque ambientati in questo territorio. Sul n.10 del 1889 di "Pagine Friulane" leggiamo proprio quanto segue. "Tra Glemone e Maniae (borgata in comune di Gemona) scôr il Riul Stuart che forsi l'ha vt chel non pal puint su la strade postâl, tant bestialmenti costruît dut a zirevoltis che al somee una S". Continuiamo la trascrizione della leggenda riportata da Ostermann servendoci di una libera "traduzione" in italiano. Non certo per aumentare l'"audience", ma per rispetto al lettore (che è anche non friulano): "Sul prato vicino al rìul Stuàrt, una vecchietta portava ogni giorno la mucca al pascolo. Si sedeva all'ombra di un castagno e sferruzzava recitando il rosario. Un giorno si accorse che la mucca dava poco latte e non capiva perché, fino a quando non si accorse che da un cespuglio usciva una vipera. La serpe sputava un liquido verde e nero sui sassi per segnare il suo percorso e poi si attaccava alla mucca per berne il latte. Il giorno dopo, la vipera uscì dal suo cespuglio, sputò come al solito il veleno che nel frattempo, però, la vecchietta ricoprì con la terra. Così, quando la biscia uscì di nuovo, non trovò più il suo veleno; impietrita, battè il capo conto i sassi e morì. In questo modo l'anziana riebbe il suo latte, standosene sempre all'ombra del grande castagno".
Se il castagno ha "radici" profonde nelle leggende della nostra regione, non minor spazio trova in altre culture. Citiamo, ad esempio, il famoso scrittore Hermann Hesse. Egli inizia il suo splendido libro "Narciso e Boccadoro" descrivendo proprio il castagno posto davanti al convento di Mariabronn ("corruzione" di Malbrunn, nel Baden Wuertemberg, nel cui seminario Hesse studiò per un semestre). Egli lo raffigura come "un solitario figlio del Sud", un insolito albero per l'Europa centrale, dove è ambientata la storia. Poco più avanti egli gli assegna l'attributo di "esotico", a ribadire che tale pianta proviene da altre regioni, ma non troppo lontane. Come è, appunto, la nostra. E una conferma che il castagno sia un albero del Sud la abbiamo leggendo "Arboreto selvatico" di Mario Rigoni Stern. Parlando del castagno (in relazione alla sua zona, cioè l'altopiano di Asiago), si chiede infatti: "Ma perché i nostri avi non hanno mai provveduto a piantare castagni? Forse perché erano scesi dal lontano Nord e lassù altri erano gli alberi a cui erano legati? Ma ai piedi delle nostre montagne, sia verso la pianura veneta che verso il Tirolo, ci sono ancora antichi castagneti".
Prima di chiudere questo particolare "capitolo" facciamo riferimento ancora a due "esemplari" (tanto per dimostrare coi fatti che il castagno ha permeato le più diverse culture): il "castagno di Sancerre" (cittadina storica della Francia) e quello che gli inglesi ricordano come castagno denominato "il grande albero di Tortworth" che, secondo le leggende, era assai più antico del loro re Giovanni (quale non è dato però sapere).
(4 - continua)
A cura dell'Associazione Forestali d'Italia
e della Direzione centrale delle risorse agricole, forestali, naturali e montagna
della regione Friuli Venezia Giulia