Il Gazzettino, 23 aprile 2008
Cadore, terra di storia, spesso sepolta. Capace talora di riemergere offrendo conferme o solo suggerendo nuovi percorsi d'indagine. Vi si addentrano da un po' di tempo in qua gli attivi gruppi archeologici cadorini. Si parte sovente sulla scorta di leggende o immagini vive dalla tradizione popolare. Tra questi sta il mistero dell'antica Agonia. Se ne era interessato Cesare Vecellio, cugino e discepolo del grande pittore, nel suo "Degli Habiti antichi et moderni" (nella foto), edito a Venezia nel 1590. Dell'esistenza della mitica città non sembrò nutrire il minimo dubbio anche se ai suoi tempi doveva ammettere che non ne rimanesse traccia alcuna, eccezion fatta per «i fondamenti d'un castello con un bagno d'acqua sulfurea, essendo divenuto il resto per la maggior parte un bosco».
Che Agonia fosse esistita lo sosteneva del resto messer Odorico Soldano, cancellerie della Comunità e contemporaneo del Vecellio, sulla scorta di documenti che affermava di possedere. Senza contare le medaglie d'argento e di bronzo affiorate dalla terra nel corso dei lavori dei campi. Con l'aggiunta del «piccolo cavallo di bronzo coperto d'una pelle di Leone», che Cesare Vecellio diceva di aver visto nella casa dell'illustre famiglia Mainardi di Lorenzago e di aver tenuto in mano con gran soddisfazione «per vedere la bella maniera dei nostri antichi in questi lavori di tal Cavallo, al quale mancava un piede». Fosse stato anche così, Antonio Ronzon nel suo "Dal Pelmo al Peralba" del 1896 concludeva che «delle scritture ricordate dal Vecellio, delle medaglie e del cavallo di bronzo nessuno sa dir più niente». Più oltre Ronzon osservava che «del castello rimane forse il ricordo nel nome "Castellato" che anche oggi - scriveva - si dà ad un sito non molto distante dal punto dove l'Ansiei si versa nel Piave». E a pensarci pare verosimile che in un luogo come Gogna, stategicamente importante, potesse sorgere un fortilizio, magari comunemente chiamato "castello".
Tra i sostenitori dell'esistenza di un castello di Gogna ci fu anche, nel Settecento, don Giovanni Antonio Barnabò, autore dell'"Historia della Provincia di Cadore". Riferiva «come alla ripa del fiume Anasso, detto comunemente Piave era situato un nobile e principal Castello, che chiamavasi Euganio, benchè di questo non vi resti, se non il solo nome, anche corrotto dalla barbara loquella degli antichi abitatori, che vien hora chiamato Agogna». Di Agonia parla anche il Ciani nella sua "Storia del popolo cadorino". Narra che attorno al 1200 a.C. un contingente di Euganei, sotto l'incalzare di Antenore alla guida di schiere di Teucri e Paflagoni, scampati all'incendio di Troia e approdati alle coste adriatiche, risalirono le gole del Piave fermandosi «dove sono fronteggiate dal Tudajo e dal Piedo». E qui eressero più rocche, la più importante delle quali fu detta Euganea. L'"oppido Euganea", in seguito "Agonia", «sarebbe sorto in un piano alquanto inclinato più verso Mezzodì che Occidente». Pure lui doveva tuttavia arrendersi all'evidenza: ai suoi giorni di quanto descritto non si rinveniva traccia alcuna. A sua volta Venanzio Donà nella sua "Storia Antica del Cadore", risalente a metà Ottocento, scriveva che «presso Auronzo sulle rive del Piave e dell'Anseio, i debili avanzi d'un castello, rimembranza invero la più vetusta di quante si conoscono in queste parti, fanno ricordare l'opinione, che quivi avessero abitato un dì quei popoli rammentati da Polibio chiamati "Agoni"».
Il mistero, in assenza di oggettivi riscontri, permane. E se fra tante congetture una verità storica esiste, il segreto resta ben custodito dalla terra.
Bruno De Donà
Cadore, terra di storia, spesso sepolta. Capace talora di riemergere offrendo conferme o solo suggerendo nuovi percorsi d'indagine. Vi si addentrano da un po' di tempo in qua gli attivi gruppi archeologici cadorini. Si parte sovente sulla scorta di leggende o immagini vive dalla tradizione popolare. Tra questi sta il mistero dell'antica Agonia. Se ne era interessato Cesare Vecellio, cugino e discepolo del grande pittore, nel suo "Degli Habiti antichi et moderni" (nella foto), edito a Venezia nel 1590. Dell'esistenza della mitica città non sembrò nutrire il minimo dubbio anche se ai suoi tempi doveva ammettere che non ne rimanesse traccia alcuna, eccezion fatta per «i fondamenti d'un castello con un bagno d'acqua sulfurea, essendo divenuto il resto per la maggior parte un bosco».
Che Agonia fosse esistita lo sosteneva del resto messer Odorico Soldano, cancellerie della Comunità e contemporaneo del Vecellio, sulla scorta di documenti che affermava di possedere. Senza contare le medaglie d'argento e di bronzo affiorate dalla terra nel corso dei lavori dei campi. Con l'aggiunta del «piccolo cavallo di bronzo coperto d'una pelle di Leone», che Cesare Vecellio diceva di aver visto nella casa dell'illustre famiglia Mainardi di Lorenzago e di aver tenuto in mano con gran soddisfazione «per vedere la bella maniera dei nostri antichi in questi lavori di tal Cavallo, al quale mancava un piede». Fosse stato anche così, Antonio Ronzon nel suo "Dal Pelmo al Peralba" del 1896 concludeva che «delle scritture ricordate dal Vecellio, delle medaglie e del cavallo di bronzo nessuno sa dir più niente». Più oltre Ronzon osservava che «del castello rimane forse il ricordo nel nome "Castellato" che anche oggi - scriveva - si dà ad un sito non molto distante dal punto dove l'Ansiei si versa nel Piave». E a pensarci pare verosimile che in un luogo come Gogna, stategicamente importante, potesse sorgere un fortilizio, magari comunemente chiamato "castello".
Tra i sostenitori dell'esistenza di un castello di Gogna ci fu anche, nel Settecento, don Giovanni Antonio Barnabò, autore dell'"Historia della Provincia di Cadore". Riferiva «come alla ripa del fiume Anasso, detto comunemente Piave era situato un nobile e principal Castello, che chiamavasi Euganio, benchè di questo non vi resti, se non il solo nome, anche corrotto dalla barbara loquella degli antichi abitatori, che vien hora chiamato Agogna». Di Agonia parla anche il Ciani nella sua "Storia del popolo cadorino". Narra che attorno al 1200 a.C. un contingente di Euganei, sotto l'incalzare di Antenore alla guida di schiere di Teucri e Paflagoni, scampati all'incendio di Troia e approdati alle coste adriatiche, risalirono le gole del Piave fermandosi «dove sono fronteggiate dal Tudajo e dal Piedo». E qui eressero più rocche, la più importante delle quali fu detta Euganea. L'"oppido Euganea", in seguito "Agonia", «sarebbe sorto in un piano alquanto inclinato più verso Mezzodì che Occidente». Pure lui doveva tuttavia arrendersi all'evidenza: ai suoi giorni di quanto descritto non si rinveniva traccia alcuna. A sua volta Venanzio Donà nella sua "Storia Antica del Cadore", risalente a metà Ottocento, scriveva che «presso Auronzo sulle rive del Piave e dell'Anseio, i debili avanzi d'un castello, rimembranza invero la più vetusta di quante si conoscono in queste parti, fanno ricordare l'opinione, che quivi avessero abitato un dì quei popoli rammentati da Polibio chiamati "Agoni"».
Il mistero, in assenza di oggettivi riscontri, permane. E se fra tante congetture una verità storica esiste, il segreto resta ben custodito dalla terra.
Bruno De Donà