Il sole 24 Ore, 14/02/1988
MA NEL FOLKLORE RESTA L' EQUINOZIO
Diverso era il calendario presso i popoli antichi in possesso di civilta' avanzate, in special modo presso i Romani con la Riforma Giuliana che Cesare appronto' nel suo terzo consolato di cui non si hanno opinioni concordi, riforma successivamente emendata con la Correzione Gregoriana. Sulla riforma giuliana i pochi cenni storici pervenutici sono quelli di Ovidio, Plinio il Vecchio, Svetonio, Plutarco e Dione Cassio notizie piu' ampie ci sono date dai grammatici Censorio, Solino e Macrobio. Solo Ovidio (Fasti, III, 161-162), quasi contemporaneo alla riforma, ci parla di che Cesare avrebbe chiesto agli astronomi inserendola nello stesso ordinamento della riforma collaborazione mirante a eliminare l' arbitrato e l' incostanza del calendario in uso fino a quel momento, al fine di portare l' anno civile a coincidere quanto piu' possibile con l' anno tropico e ritenuto poco diverso dai 365 giorni e un quarto di quello civile. Cosi' Cesare istitui' cicli quadriennali: tre anni formati di 365 giorni e uno di 366 giorni. Al tempo della riforma, l' anno ufficiale era in anticipo di circa novanta giorni sull' anno compensato, cosicche' Cesare nel mese di febbraio del 708 di Roma, inseri' il mese mercedonio di 23 giorni, e i rimanenti giorni li riparti' in due mesi, inserendoli fra novembre e dicembre: quell' anno non fu di 12 mesi ma di 15 mesi pari a 445 giorni secondo quanto ci tramanda Censorio, di 444 secondo Solino, di 443 secondo Macrobio e fu conosciuto come . Per eliminare la caotica situazione, Cesare ristabili' il seguente ordine: lascio' inalterati i mesi di marzo, maggio, luglio, ottobre e febbraio, aggiunse due giorni a ciascuno dei mesi di gennaio, agosto e dicembre (portandoli a 31 giorni) aggiunse, inoltre, un giorno a ciascuno dei mesi di aprile, giugno, settembre e dicembre (portandoli a 30 giorni). Questo togliere e aggiungere ai mesi, peraltro assai confuso, servi' a superare la diffusa superstizione esistente presso i Romani del inoltre dispose che ogni quattro anni, fra il 23 e 24 di febbraio (giorni in cui precedentemente si inseriva il mese mercedonio) si inserisse un giorno che, in base al sistema di numerare dei Romani, prese il nome di bis sexto kalendas Martias, da cui il nome rimasto all' anno bisestile formato di 366 giorni, mentre quelli comuni erano formati di 365 giorni cosi' quando entro' in uso contare e numerare i giorni di ciascun mese, il giorno aggiunto a febbraio fu segnato col numero 29 (XXIX). Da quel momento, gli anni ordinati con tale sistema si chiamarono e si contarono in progressione il primo anno giuliano inizio' nel giorno di novilunio del primo gennaio del 709 di Roma. Molte sono state le discussioni sull' effettiva collocazione dell' anno bisestile. Secondo Censorio e Macrobio, il bis sexto kalendas Martias va posto fra il VII kalendas e il VI kalendas. Pero' , secondo Th. Mommsen, Romische Chronologie bis auf Caesar, Berlin 1858, il bis sexto kalendas era collocato fra il VI e V kalendas, cio' in base a una iscrizione trovata nel tempio di Cirta recante la data di V kalendas Martias. Dopo la morte di Cesare, la Chiesa latina ritenne il 24 febbraio come giorno intercalato, mentre i pontefici invece di intercalare l' anno bisestile ogni quattro anni, lo intercalarono ogni tre, cioe' solo dopo due anni comuni questo fatto duro' per 36 anni, durante i quali si ebbero ben dodici bisestili. Augusto, accortosi dell' errore commesso, elimino' per dodici anni l' intercalazione del bisesto, per assorbire i tre bisesti inseriti per eccesso. Questa ricorrenza triennale e' dubbia dato che Dione Cassio (Roman. Hist., XLVIII, 83) narra che nell' anno 713 di Roma, durante i giochi Apollinari del 5 luglio fu intercalato un giorno oltre il consueto al fine di evitare che il primo gennaio dell' anno 714 di Roma cadesse col primo giorno di mercato, subito dopo ritolto per riallineare l' anno a quello di Cesare. La correzione gregoriana apportata alla riforma giuliana ebbe grande valore scientifico. Nel 1582 papa Gregorio XIII basandosi sugli studi scientifici di Luigi Lilio, sottoposti all' approvazione dei piu' grandi matematici dell' epoca, promulgo' l' atto per la correzione del calendario. Ovviamente i dati scientifici astronomici che servirono alla correzione sono stati continuamente rettificati in base alle ricerche degli scienziati, sempre piu' sicure e precise. Il calendario gregoriano fu accolto favorevolmente in quasi tutti i paesi, contrasti si ebbero solo nei paesi di religione protestante. Cosi' per lungo tempo si alternarono il calendario giuliano e il calendario gregoriano. Attualmente il gregoriano e' adottato quasi ovunque. Se questa e' in sintesi la storia del calendario e dell' anno bisestile, non meno interessante e' la storia del calendario nel folclore specialmente italiano. Per la cultura popolare, generalmente, l' anno e' posto sotto due pleniluni: quello di maggio che regola l' estate, e quello di settembre che regola l' inverno. Da qui il proverbio: . Nella stragrande maggioranza delle societa' agricole, i contadini conservano ancora proverbi antichissimi come: (equivalente al giorno piu' lungo, cioe' l' 11 giugno festa di San Barnaba) e (corrispondente al 13 dicembre, giorno di Santa Lucia). Questi proverbi nacquero, probabilmente, sulla base del calendario giuliano che faceva corrispondere l' 11 giugno al 20 giugno (San Siverio), e il 13 dicembre al 20 dicembre (San Giulio) (cosi' : Rubieri, Storia della poesia popolare italiana. Firenze, 1877, pagg. 291). Per alcune regioni dell' Italia meridionale, per esempio, i contadini della Calabria, il simbolo dell' equinozio di primavera consiste nel pesco coperto di fiori e frutti per quelli della Puglia l' equinozio autunnale cade il 21 settembre. In linea generale nella cultura popolare l' inizio e la fine delle stagioni sono legate non alle scadenze poste dal calendario, ma ai fatti naturali, che per il loro ripetersi, sono ritenuti infallibili, come il fiorire e il fruttificare delle piante, il canto di alcuni uccelli e le abitudini degli animali che si ripetono a intervalli di tempo abbastanza precisi questi fatti coincidono stranamente con quelli dei Pellerossa dell' America del Nord. La citazione dei proverbi popolari potrebbe continuare all' infinito, ci limitiamo a ricordare ancora qualcuno fra i piu' famosi come quello riguardante la festa della Purificazione del 2 febbraio: o come quello dell' entrata della primavera: o ancora quello sul canto dell' assiuolo che i Siciliani chiamano cirrincio' annunciante di cedere o tenere in fitto il fondo: . Nelle regioni settentrionali tale annuncio e' fatto dal cuculo che compare fra marzo e maggio, mentre il fringuello o il merlo avvertono il contadino che l' autunno e' inoltrato, l' anno agricolo e' iniziato e non e' piu' tempo di allontanarsi dal podere. Nel linguaggio figurato popolare, per esempio, agosto e' raffigurato nell' atto di porgere a settembre il messaggio da leggere agli uomini, avvertendoli che l' inverno e' vicino ed e' tempo di provvedere alle provviste alimentari e infatti il 25 novembre si crede giunto l' inverno come dice un altro proverbio: . Per i contadini della Romagna i giorni che compongono l' anno sono ridotti ai dodici, i primi dodici giorni di gennaio questi, in base a una antica tradizione, sono fatti corrispondere a dodici mesi su questa base e' pronosticato il bello e il cattivo tempo che fara' nell' arco dei dodici mesi dell' anno corrente. Questi dodici giorni corrispondono ai giorni endegari dei Veneti e alle calende dei Calabresi. Qualche volta i calendari popolari sono indicatori di prosperita' o di avversita' , come i primi 25 giorni di gennaio, su cui spesso si basano i pronostici. La cultura popolare distribuisce i primi 25 giorni di gennaio in due modi per ricavare auspici, uno crescente, contando da gennaio a dicembre dodici giorni (1-12), l' altro decrescente, contando da novembre a gennaio gli altri giorni (13-24) con il 25o giorno intercambiabile. Fatti mnemonici che possono essere ritenuti gli archetipi di calendari misuratori di tempo popolari non mancano presso la gente meno acculturata. Per esempio, in molte localita' , per conoscere di quanti giorni era fatto un mese si costumava contare sul pugno della mano, partendo dall' indice seguendo le nocche e le fossette, e, al mignolo ricominciando. I mesi corrispondenti alle nocche contavano 31 giorni, quelli corrispondenti alle fossette di 30 giorni, tranne febbraio che contava 28 o 29 giorni. Queste credenze, ovviamente, non appartengono alla scienza astronomica, la sola a stabilire le regole esatte del tempo ripartendolo in ore, giorni, settimane, mesi e anni, ciononostante esse fanno parte di quella cultura il cui studio ci permette di capire meglio le nostre origini, le nostre superstizioni, le nostre credenze, e, perche' no, le nostre speranze di un futuro migliore.
MA NEL FOLKLORE RESTA L' EQUINOZIO
Diverso era il calendario presso i popoli antichi in possesso di civilta' avanzate, in special modo presso i Romani con la Riforma Giuliana che Cesare appronto' nel suo terzo consolato di cui non si hanno opinioni concordi, riforma successivamente emendata con la Correzione Gregoriana. Sulla riforma giuliana i pochi cenni storici pervenutici sono quelli di Ovidio, Plinio il Vecchio, Svetonio, Plutarco e Dione Cassio notizie piu' ampie ci sono date dai grammatici Censorio, Solino e Macrobio. Solo Ovidio (Fasti, III, 161-162), quasi contemporaneo alla riforma, ci parla di che Cesare avrebbe chiesto agli astronomi inserendola nello stesso ordinamento della riforma collaborazione mirante a eliminare l' arbitrato e l' incostanza del calendario in uso fino a quel momento, al fine di portare l' anno civile a coincidere quanto piu' possibile con l' anno tropico e ritenuto poco diverso dai 365 giorni e un quarto di quello civile. Cosi' Cesare istitui' cicli quadriennali: tre anni formati di 365 giorni e uno di 366 giorni. Al tempo della riforma, l' anno ufficiale era in anticipo di circa novanta giorni sull' anno compensato, cosicche' Cesare nel mese di febbraio del 708 di Roma, inseri' il mese mercedonio di 23 giorni, e i rimanenti giorni li riparti' in due mesi, inserendoli fra novembre e dicembre: quell' anno non fu di 12 mesi ma di 15 mesi pari a 445 giorni secondo quanto ci tramanda Censorio, di 444 secondo Solino, di 443 secondo Macrobio e fu conosciuto come . Per eliminare la caotica situazione, Cesare ristabili' il seguente ordine: lascio' inalterati i mesi di marzo, maggio, luglio, ottobre e febbraio, aggiunse due giorni a ciascuno dei mesi di gennaio, agosto e dicembre (portandoli a 31 giorni) aggiunse, inoltre, un giorno a ciascuno dei mesi di aprile, giugno, settembre e dicembre (portandoli a 30 giorni). Questo togliere e aggiungere ai mesi, peraltro assai confuso, servi' a superare la diffusa superstizione esistente presso i Romani del inoltre dispose che ogni quattro anni, fra il 23 e 24 di febbraio (giorni in cui precedentemente si inseriva il mese mercedonio) si inserisse un giorno che, in base al sistema di numerare dei Romani, prese il nome di bis sexto kalendas Martias, da cui il nome rimasto all' anno bisestile formato di 366 giorni, mentre quelli comuni erano formati di 365 giorni cosi' quando entro' in uso contare e numerare i giorni di ciascun mese, il giorno aggiunto a febbraio fu segnato col numero 29 (XXIX). Da quel momento, gli anni ordinati con tale sistema si chiamarono e si contarono in progressione il primo anno giuliano inizio' nel giorno di novilunio del primo gennaio del 709 di Roma. Molte sono state le discussioni sull' effettiva collocazione dell' anno bisestile. Secondo Censorio e Macrobio, il bis sexto kalendas Martias va posto fra il VII kalendas e il VI kalendas. Pero' , secondo Th. Mommsen, Romische Chronologie bis auf Caesar, Berlin 1858, il bis sexto kalendas era collocato fra il VI e V kalendas, cio' in base a una iscrizione trovata nel tempio di Cirta recante la data di V kalendas Martias. Dopo la morte di Cesare, la Chiesa latina ritenne il 24 febbraio come giorno intercalato, mentre i pontefici invece di intercalare l' anno bisestile ogni quattro anni, lo intercalarono ogni tre, cioe' solo dopo due anni comuni questo fatto duro' per 36 anni, durante i quali si ebbero ben dodici bisestili. Augusto, accortosi dell' errore commesso, elimino' per dodici anni l' intercalazione del bisesto, per assorbire i tre bisesti inseriti per eccesso. Questa ricorrenza triennale e' dubbia dato che Dione Cassio (Roman. Hist., XLVIII, 83) narra che nell' anno 713 di Roma, durante i giochi Apollinari del 5 luglio fu intercalato un giorno oltre il consueto al fine di evitare che il primo gennaio dell' anno 714 di Roma cadesse col primo giorno di mercato, subito dopo ritolto per riallineare l' anno a quello di Cesare. La correzione gregoriana apportata alla riforma giuliana ebbe grande valore scientifico. Nel 1582 papa Gregorio XIII basandosi sugli studi scientifici di Luigi Lilio, sottoposti all' approvazione dei piu' grandi matematici dell' epoca, promulgo' l' atto per la correzione del calendario. Ovviamente i dati scientifici astronomici che servirono alla correzione sono stati continuamente rettificati in base alle ricerche degli scienziati, sempre piu' sicure e precise. Il calendario gregoriano fu accolto favorevolmente in quasi tutti i paesi, contrasti si ebbero solo nei paesi di religione protestante. Cosi' per lungo tempo si alternarono il calendario giuliano e il calendario gregoriano. Attualmente il gregoriano e' adottato quasi ovunque. Se questa e' in sintesi la storia del calendario e dell' anno bisestile, non meno interessante e' la storia del calendario nel folclore specialmente italiano. Per la cultura popolare, generalmente, l' anno e' posto sotto due pleniluni: quello di maggio che regola l' estate, e quello di settembre che regola l' inverno. Da qui il proverbio: . Nella stragrande maggioranza delle societa' agricole, i contadini conservano ancora proverbi antichissimi come: (equivalente al giorno piu' lungo, cioe' l' 11 giugno festa di San Barnaba) e (corrispondente al 13 dicembre, giorno di Santa Lucia). Questi proverbi nacquero, probabilmente, sulla base del calendario giuliano che faceva corrispondere l' 11 giugno al 20 giugno (San Siverio), e il 13 dicembre al 20 dicembre (San Giulio) (cosi' : Rubieri, Storia della poesia popolare italiana. Firenze, 1877, pagg. 291). Per alcune regioni dell' Italia meridionale, per esempio, i contadini della Calabria, il simbolo dell' equinozio di primavera consiste nel pesco coperto di fiori e frutti per quelli della Puglia l' equinozio autunnale cade il 21 settembre. In linea generale nella cultura popolare l' inizio e la fine delle stagioni sono legate non alle scadenze poste dal calendario, ma ai fatti naturali, che per il loro ripetersi, sono ritenuti infallibili, come il fiorire e il fruttificare delle piante, il canto di alcuni uccelli e le abitudini degli animali che si ripetono a intervalli di tempo abbastanza precisi questi fatti coincidono stranamente con quelli dei Pellerossa dell' America del Nord. La citazione dei proverbi popolari potrebbe continuare all' infinito, ci limitiamo a ricordare ancora qualcuno fra i piu' famosi come quello riguardante la festa della Purificazione del 2 febbraio: o come quello dell' entrata della primavera: o ancora quello sul canto dell' assiuolo che i Siciliani chiamano cirrincio' annunciante di cedere o tenere in fitto il fondo: . Nelle regioni settentrionali tale annuncio e' fatto dal cuculo che compare fra marzo e maggio, mentre il fringuello o il merlo avvertono il contadino che l' autunno e' inoltrato, l' anno agricolo e' iniziato e non e' piu' tempo di allontanarsi dal podere. Nel linguaggio figurato popolare, per esempio, agosto e' raffigurato nell' atto di porgere a settembre il messaggio da leggere agli uomini, avvertendoli che l' inverno e' vicino ed e' tempo di provvedere alle provviste alimentari e infatti il 25 novembre si crede giunto l' inverno come dice un altro proverbio: . Per i contadini della Romagna i giorni che compongono l' anno sono ridotti ai dodici, i primi dodici giorni di gennaio questi, in base a una antica tradizione, sono fatti corrispondere a dodici mesi su questa base e' pronosticato il bello e il cattivo tempo che fara' nell' arco dei dodici mesi dell' anno corrente. Questi dodici giorni corrispondono ai giorni endegari dei Veneti e alle calende dei Calabresi. Qualche volta i calendari popolari sono indicatori di prosperita' o di avversita' , come i primi 25 giorni di gennaio, su cui spesso si basano i pronostici. La cultura popolare distribuisce i primi 25 giorni di gennaio in due modi per ricavare auspici, uno crescente, contando da gennaio a dicembre dodici giorni (1-12), l' altro decrescente, contando da novembre a gennaio gli altri giorni (13-24) con il 25o giorno intercambiabile. Fatti mnemonici che possono essere ritenuti gli archetipi di calendari misuratori di tempo popolari non mancano presso la gente meno acculturata. Per esempio, in molte localita' , per conoscere di quanti giorni era fatto un mese si costumava contare sul pugno della mano, partendo dall' indice seguendo le nocche e le fossette, e, al mignolo ricominciando. I mesi corrispondenti alle nocche contavano 31 giorni, quelli corrispondenti alle fossette di 30 giorni, tranne febbraio che contava 28 o 29 giorni. Queste credenze, ovviamente, non appartengono alla scienza astronomica, la sola a stabilire le regole esatte del tempo ripartendolo in ore, giorni, settimane, mesi e anni, ciononostante esse fanno parte di quella cultura il cui studio ci permette di capire meglio le nostre origini, le nostre superstizioni, le nostre credenze, e, perche' no, le nostre speranze di un futuro migliore.