Corriere della Sera 1.3.09
Nel mondo Il cinese mandarino è il più diffuso.
Nelle ultime tre generazioni scomparsi 200 dialetti
Lingue salvate, lingue perdute Il nuovo atlante delle parole
Dei 6 mila idiomi 2.500 rischiano di sparire
di Paolo Salom
Globalizzazione
La scomparsa di certe forme espressive è un fenomeno mondiale.
Ma non si può sostenere che l'inglese e lo spagnolo siano le lingue-killer
In Italia Dalla Valle d'Aosta alla Puglia sono cinque le forme espressive autoctone minacciate di estinzione
Signor Candido Ortiz, lei è accusato di tentato omicidio in stato di ubriachezza». Niente, nessuna risposta. «Lei capisce quello che sto dicendo?». No, Candido Ortiz, 20 anni, non può capire. È uno delle migliaia di immigrati più o meno regolari che sopravvivono in California senza avere mai imparato l'inglese. Il caso di Ortiz ha meritato la prima pagina del Los Angeles Times perché i cancellieri del tribunale distrettuale hanno impiegato tre mesi prima di trovare un interprete in grado di far comprendere all'imputato i suoi diritti costituzionali e, soprattutto, le accuse. Alla fine, con un espediente degno di Hollywood, procuratore e avvocati hanno potuto finalmente interloquire con lui grazie a una triangolazione in teleconferenza con il Messico, suo Paese d'origine. Tanta fatica per un traduttore dallo spagnolo? No, certo: la lingua di Ortiz non è l'idioma di Cervantes nella sua versione americana bensì il ben più raro Quetzaltepec (una variante dialettale india del comunque inconsueto Mixe) parlato da non più di 7 mila anime nella regione montagnosa meridionale di Oaxaca.
Caso da Guinness? Non secondo l'Unesco, che nei giorni scorsi ha presentato l'Atlante internazionale delle lingue in pericolo di estinzione. Cifre da far paura: dei 6 mila idiomi parlati nel mondo, secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, almeno 2.500 potrebbero sparire per sempre. A essere «sull'orlo » della scomparsa, o a rischiare una «morte certa — ci spiega l'australiano Christopher Moseley, capo dell'équipe di 30 linguisti che hanno curato il progetto — sono soprattutto le parlate delle regioni a forte diversità linguistica come la Malesia, l'Africa subsahariana e l'America del Sud». Nell'elenco sono citate lingue conosciute (come sonorità) grazie ai film western: per esempio il Nez Perce, la lingua degli indiani Nasi Forati (sono rimasti soltanto 20 in grado di parlarla tra Idaho e Oregon); il Mescalero- Chiricahua Apache (3 parlanti nell'Oklahoma); e il Lakota di Balla coi lupi (25 mila parlanti nel South Dakota). E ovviamente lingue virtualmente sconosciute come il Chulym medio, scoperto solo 5 anni fa, e parlato da 35 persone nella russia siberiana. Sorpresa: nell'atlante la sezione dedicata all'Italia segnala cinque idiomi a rischio estinzione. Sono il Gardiol (340 parlanti), il Griko del Salento (20 mila parlanti) e il Griko della Calabria (2 mila parlanti), il Töitschu (tedesco) della Valle d'Aosta (200 parlanti) e il croato molisano (5 mila parlanti). Considerando i dialetti a basso rischio, l'atlante dell'Unesco fa una lista totale di 31 idiomi italici «in pericolo». «Il nostro lavoro — dice ancora Chris Moseley — è assimilabile a quello di un naturalista che metta in luce la fragilità di una specie animale o vegetale. Perché salvare una lingua che va scomparendo? Intanto perché è parte di una biodiversità che garantisce la ricchezza e la varietà delle culture umane. E poi perché ogni lingua, anche la più rara, è un esempio di una meraviglia, di più, di un miracolo dell'evoluzione che ha prodotto un insieme unico di parole, suoni e architettura grammaticale. Un insieme che è anche una visione del mondo originale, uno specchio delle metafore, del pensiero che una determinata popolazione utilizza per interpretare il mondo. Lasciarla svanire sarebbe un danno irreparabile: ogni lingua è un universo».
Qualcuno, a questo punto, potrebbe farsi l'idea che le lingue «minori» siano in difficoltà (unicamente) per colpa delle lingue dominanti (cinese mandarino, la più parlata, con 1.120 milioni; inglese, 510 milioni; hindi, 490 milioni; spagnolo, 425 milioni; arabo, 255 milioni). Niente di più sbagliato: «La scomparsa delle lingue è un fenomeno universale», spiega ancora Moseley. Aggiungendo come sia «semplicistico affermare che le grandi lingue che sono state lingue coloniali siano dappertutto responsabili dell'estinzione degli altri idiomi. Io non definirei spagnolo e inglese come lingue-killer, anche se è vero che hanno imposto degli standard: ma in Sudamerica, per esempio, molte parlate degli indios sono protette dai governi e stanno rinascendo. Il fenomeno è invece più legato allo sviluppo economico e alla globalizzazione, con le grandi migrazioni e l'abbandono "volontario" delle lingue "minori", alla diffusione di media moderni come televisione, radio e giornali. Poi ci sono fenomeni drammatici: lo tsunami, nel 2004, ha cancellato intere comunità nel Sud-Est asiatico con i loro idiomi». Sottolinea, a questo proposito, sul Monde Cécile Duvelle, capo della sezione del patrimonio immateriale dell'Unesco: «Le lingue sono vive. Certe muoiono, altre nascono».
Ecco dunque che, leggendo l'atlante (on line all'indirizzo www. unesco. org/ culture/ en/ endangeredlanguages), si scopre che 200 lingue si sono estinte nel corso delle ultime tre generazioni, 538 sono in una situazione «critica», 502 «seriamente in pericolo», 632 in «pericolo» e 607 «vulnerabili». Proseguendo con i dati dell'Unesco si vede che 199 lingue sono parlate al momento da meno di dieci persone.
Una tendenza preoccupante, che si può tuttavia contrastare come già accade, per esempio, nel nostro Paese. A Guardia Piemontese, paesino che, a dispetto del nome, si trova in Calabria, in provincia di Cosenza. «Nel centro storico — ci dice il sindaco di Guardia, Gaetano Cistaro — vivono oltre 300 persone la cui lingua madre è il Gardiol, ovvero l'Occitano originario delle valli valdesi del Piemonte». Nella loro lingua potremmo dire, senza bisogno di un interprete: O país de la Gàrdia l'es 'o sol país de la Calàbria aont la se parlla la lenga occitana.
Come è possibile questo miracolo? «I "gardioli" — racconta il sindaco — sono scesi in Calabria tra il XIII e il XIV secolo. Si sono stabiliti su una rocca e hanno resistito alle persecuzioni contro i valdesi durante la Controriforma. Alla fine hanno perso la loro religione: non hanno potuto evitare di convertirsi al cattolicesimo. Ma è stata proprio la lingua occitana, da loro conservata gelosamente, a salvarli dalla scomparsa come comunità culturale». Oggi sono perfettamente bilingue. E hanno, a loro disposizione, una scuola con lettorato occitano, un'amministrazione che fa di tutto per favorire la rinascita del Gardiol offrendo servizi come lo sportello linguistico, mentre la Provincia di Cosenza opera attraverso l'assessorato alle minoranze. «Noi — conclude il sindaco Cistaro — siamo in stretto contatto con le valli occitane del Piemonte. E soprattutto attendiamo con impazienza che l'Unesco riconosca il Gardiol e la cultura legata a questa lingua come patrimonio immateriale dell'umanità».
Nel mondo Il cinese mandarino è il più diffuso.
Nelle ultime tre generazioni scomparsi 200 dialetti
Lingue salvate, lingue perdute Il nuovo atlante delle parole
Dei 6 mila idiomi 2.500 rischiano di sparire
di Paolo Salom
Globalizzazione
La scomparsa di certe forme espressive è un fenomeno mondiale.
Ma non si può sostenere che l'inglese e lo spagnolo siano le lingue-killer
In Italia Dalla Valle d'Aosta alla Puglia sono cinque le forme espressive autoctone minacciate di estinzione
Signor Candido Ortiz, lei è accusato di tentato omicidio in stato di ubriachezza». Niente, nessuna risposta. «Lei capisce quello che sto dicendo?». No, Candido Ortiz, 20 anni, non può capire. È uno delle migliaia di immigrati più o meno regolari che sopravvivono in California senza avere mai imparato l'inglese. Il caso di Ortiz ha meritato la prima pagina del Los Angeles Times perché i cancellieri del tribunale distrettuale hanno impiegato tre mesi prima di trovare un interprete in grado di far comprendere all'imputato i suoi diritti costituzionali e, soprattutto, le accuse. Alla fine, con un espediente degno di Hollywood, procuratore e avvocati hanno potuto finalmente interloquire con lui grazie a una triangolazione in teleconferenza con il Messico, suo Paese d'origine. Tanta fatica per un traduttore dallo spagnolo? No, certo: la lingua di Ortiz non è l'idioma di Cervantes nella sua versione americana bensì il ben più raro Quetzaltepec (una variante dialettale india del comunque inconsueto Mixe) parlato da non più di 7 mila anime nella regione montagnosa meridionale di Oaxaca.
Caso da Guinness? Non secondo l'Unesco, che nei giorni scorsi ha presentato l'Atlante internazionale delle lingue in pericolo di estinzione. Cifre da far paura: dei 6 mila idiomi parlati nel mondo, secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura, almeno 2.500 potrebbero sparire per sempre. A essere «sull'orlo » della scomparsa, o a rischiare una «morte certa — ci spiega l'australiano Christopher Moseley, capo dell'équipe di 30 linguisti che hanno curato il progetto — sono soprattutto le parlate delle regioni a forte diversità linguistica come la Malesia, l'Africa subsahariana e l'America del Sud». Nell'elenco sono citate lingue conosciute (come sonorità) grazie ai film western: per esempio il Nez Perce, la lingua degli indiani Nasi Forati (sono rimasti soltanto 20 in grado di parlarla tra Idaho e Oregon); il Mescalero- Chiricahua Apache (3 parlanti nell'Oklahoma); e il Lakota di Balla coi lupi (25 mila parlanti nel South Dakota). E ovviamente lingue virtualmente sconosciute come il Chulym medio, scoperto solo 5 anni fa, e parlato da 35 persone nella russia siberiana. Sorpresa: nell'atlante la sezione dedicata all'Italia segnala cinque idiomi a rischio estinzione. Sono il Gardiol (340 parlanti), il Griko del Salento (20 mila parlanti) e il Griko della Calabria (2 mila parlanti), il Töitschu (tedesco) della Valle d'Aosta (200 parlanti) e il croato molisano (5 mila parlanti). Considerando i dialetti a basso rischio, l'atlante dell'Unesco fa una lista totale di 31 idiomi italici «in pericolo». «Il nostro lavoro — dice ancora Chris Moseley — è assimilabile a quello di un naturalista che metta in luce la fragilità di una specie animale o vegetale. Perché salvare una lingua che va scomparendo? Intanto perché è parte di una biodiversità che garantisce la ricchezza e la varietà delle culture umane. E poi perché ogni lingua, anche la più rara, è un esempio di una meraviglia, di più, di un miracolo dell'evoluzione che ha prodotto un insieme unico di parole, suoni e architettura grammaticale. Un insieme che è anche una visione del mondo originale, uno specchio delle metafore, del pensiero che una determinata popolazione utilizza per interpretare il mondo. Lasciarla svanire sarebbe un danno irreparabile: ogni lingua è un universo».
Qualcuno, a questo punto, potrebbe farsi l'idea che le lingue «minori» siano in difficoltà (unicamente) per colpa delle lingue dominanti (cinese mandarino, la più parlata, con 1.120 milioni; inglese, 510 milioni; hindi, 490 milioni; spagnolo, 425 milioni; arabo, 255 milioni). Niente di più sbagliato: «La scomparsa delle lingue è un fenomeno universale», spiega ancora Moseley. Aggiungendo come sia «semplicistico affermare che le grandi lingue che sono state lingue coloniali siano dappertutto responsabili dell'estinzione degli altri idiomi. Io non definirei spagnolo e inglese come lingue-killer, anche se è vero che hanno imposto degli standard: ma in Sudamerica, per esempio, molte parlate degli indios sono protette dai governi e stanno rinascendo. Il fenomeno è invece più legato allo sviluppo economico e alla globalizzazione, con le grandi migrazioni e l'abbandono "volontario" delle lingue "minori", alla diffusione di media moderni come televisione, radio e giornali. Poi ci sono fenomeni drammatici: lo tsunami, nel 2004, ha cancellato intere comunità nel Sud-Est asiatico con i loro idiomi». Sottolinea, a questo proposito, sul Monde Cécile Duvelle, capo della sezione del patrimonio immateriale dell'Unesco: «Le lingue sono vive. Certe muoiono, altre nascono».
Ecco dunque che, leggendo l'atlante (on line all'indirizzo www. unesco. org/ culture/ en/ endangeredlanguages), si scopre che 200 lingue si sono estinte nel corso delle ultime tre generazioni, 538 sono in una situazione «critica», 502 «seriamente in pericolo», 632 in «pericolo» e 607 «vulnerabili». Proseguendo con i dati dell'Unesco si vede che 199 lingue sono parlate al momento da meno di dieci persone.
Una tendenza preoccupante, che si può tuttavia contrastare come già accade, per esempio, nel nostro Paese. A Guardia Piemontese, paesino che, a dispetto del nome, si trova in Calabria, in provincia di Cosenza. «Nel centro storico — ci dice il sindaco di Guardia, Gaetano Cistaro — vivono oltre 300 persone la cui lingua madre è il Gardiol, ovvero l'Occitano originario delle valli valdesi del Piemonte». Nella loro lingua potremmo dire, senza bisogno di un interprete: O país de la Gàrdia l'es 'o sol país de la Calàbria aont la se parlla la lenga occitana.
Come è possibile questo miracolo? «I "gardioli" — racconta il sindaco — sono scesi in Calabria tra il XIII e il XIV secolo. Si sono stabiliti su una rocca e hanno resistito alle persecuzioni contro i valdesi durante la Controriforma. Alla fine hanno perso la loro religione: non hanno potuto evitare di convertirsi al cattolicesimo. Ma è stata proprio la lingua occitana, da loro conservata gelosamente, a salvarli dalla scomparsa come comunità culturale». Oggi sono perfettamente bilingue. E hanno, a loro disposizione, una scuola con lettorato occitano, un'amministrazione che fa di tutto per favorire la rinascita del Gardiol offrendo servizi come lo sportello linguistico, mentre la Provincia di Cosenza opera attraverso l'assessorato alle minoranze. «Noi — conclude il sindaco Cistaro — siamo in stretto contatto con le valli occitane del Piemonte. E soprattutto attendiamo con impazienza che l'Unesco riconosca il Gardiol e la cultura legata a questa lingua come patrimonio immateriale dell'umanità».