Il Sole 24 Ore, 20/12/1998
GIORNI DEL SOLSTIZIO - Riti, origini e tradizioni delle festività che segnano il passaggio dal vecchio al nuovo anno
Il baccanale sia con voi
Dai Saturnali dell'antichità al del dio Mitra, dalla solennità cristiana fino alle bancarelle di piazza Navona, tutte le celebrazioni osservate nella Città Eterna
Lidia Storoni Mazzolani
A piazza Navona si sono installate le bancarelle. Fino a pochi anni (o decenni?) fa, vi si acquistavano soltanto figurine di terracotta, che servivano a popolare di pastori e pecorelle in miniatura gli umili presepi di bambini ancora ignari di elettronica - ora è il regno della plastica. Gli abeti luccicanti di palline di vari colori erano una rarità. E la notte dell'Epifania si svolgeva, allora come ora, un tripudio assordante: abito a Ponte S. Angelo, ma quella notte le trombette si sentono anche qui. La piazza era particolarmente cara a Gioacchino Belli, che scrisse una lettera in prosa romanesca a un amico, invitandolo a raggiungervelo la sera per far baldoria insieme, e un bellissimo sonetto: Befana, la misteriosa vecchietta che si cala dalla cappa del camino e lascia i suoi doni nelle calze appese, carbone ai bambini cattivi. E . Un'atmosfera altrettanto festosa regnava negli stessi giorni nell'Urbe antica: dal 17 al 23 dicembre si svolgevano i Saturnali, feste durante le quali si voleva far rivivere il regno di Saturno, l'età dell'oro, epoca di eguaglianza e di abbondanza. Agli inzi, la festa durava un solo giorno, il 26 dicembre, ma Augusto stabilì che i giorni fossero tre, poi il periodo si allungò ancora. Interroghiamo anche noi, come i suoi illustri commensali, Vettio Agorio Pretestato, che Macrobio presenta ritirato in casa, nei giorni dei Saturnali, appunto per sottrarsi al frastuono delle strade. Sono con lui pochi amici, tutti intenti a intrecciare conversazioni ad alto livello, l'opera nella quale sono registrate queste dissertazioni erudite, I Saturnali, è del V secolo, anni in cui esistevano già le basiliche. L'amabile anfitrione - al quale si deve l'ultimo monumento pagano dell'Urbe, il portico degli Dei Consenti,- consultato come un'autorità sull'argomento, narra che Saturno, profugo dal cielo, si rifugiò presso Giano, che abitava sul Gianicolo; accolto cortesemente, ottenne come sua dimora la zona a sinistra del Tevere ed egli scelse come residenza il colle capitolino: Romolo e Remo erano ancora da venire. Saturno esercitò una funzione civilizzatrice sui rozzi abitanti della zona: insegnò loro l'agricoltura, l'uso della falce e di altri attrezzi agricoli, la vite, la moneta e le prime norme di convivenza (). Memore di questa azione benefica, Tarquinio il Superbo, l'ultimo re di Roma, gli dedicò un tempio. In esso si conservava il Tesoro nonché, incise su tavolette di bronzo, le leggi: a quel dio infatti si deve l'uso della moneta e la convivenza civile. Durante le feste dedicate al dio nel mese di dicembre - che gli era sacro - si usava tra i cittadini uno scambio di doni e di candele, simbolo della luce di civiltà che Saturno aveva introdotto. Per rievocare lo spirito di fratellanza che regnava ai tempi di Saturno, durante quei giorni i padroni servivano a tavole gli schiavi, le matrone le schiave (Servi sunt - scrive Seneca - immo, humiles amici...). I Pelasgi, approdati in Italia a seguito d'un oracolo di Dodona, eressero un'ara a Saturno e gli offrivano sacrifici umani; ma Eracle li dissuase da quell'uso orrendo e insegnò loro a offrire fiaccole accese il giorno della festa del dio: le stesse che accendiamo sull'albero di Natale? Nell'era favolosa degli inizi, durante il regno di Saturno - rievocato con venerazione durante i giorni del solstizio d'inverno - nessuno possedeva nulla in proprio né si delimitavano i campi: tutto apparteneva alla comunità, l'ideale comunista è presente, sotto forma di mito, nel subconscio umano. Durante i Saturnali non si dichiaravano guerre, non si eseguivano condanne a morte: i condannati, chiusi nel carcere Mamertino, udivano il tripudio festoso della città, in attesa del carnefice. In quei giorni, il tribunale era chiuso. Fu Numa Pompilio, secondo Macrobio, a istituire quelle festività, come pausa di riposo per i lavoratori dei campi: forse, la coincidenza millenaria delle Feste nell'ultima decade di dicembre dipende semplicemente dal fatto che in quei giorni sono ultimate le semine e non si dà ancora inizio ad altri lavori: dalle date dell'agricoltura arcaica dipendono le date dell'età industriale. Inoltre, nell'ultima decade di dicembre gli uomini si accorgevano che il sole sostava un poco più a lungo a illuminare la terra. Il Natale cristiano, infatti, coincide con quello pagano del dio Mitra (il 25 dicembre: dies Natalis Solis Invicti): equiparando la divinità al sole, i fedeli della divinità iranica scelsero quella data per la sua nascita e i cristiani anticiparono a quel giorno la nascita di Gesù, che agli inizi cadeva il giorno dell'Epifania, per la rivalità del tempo con il culto di Mitra. Poi, viene il giorno di Capodanno: entrano in carica i nuovi consoli che daranno il nome all'anno del loro ministero. Salgono al Campidoglio vestiti di porpora, preceduti dai littori. Sacrificano a Giove un toro bianco. La giornata è lavorativa perché tali saranno tutti i giorni dell'anno che inizia. Quel giorno segna il distacco tra un periodo di tempo che si chiude e un altro che incomincia: il primo deve portarsi via tutto il male che ha contenuto (gli spari attuali mirano a colpirlo). Il secondo, che si apre, dovrà apportare tanti doni: si chiamavano strenae, come oggi, quelli che si scambiavano i romani. Su questa festa abbiamo un altro competente da consultare: Ovidio, nel primo canto dei Fasti (l'esilio sul Mar Nero impedì al poeta di andare oltre il mese di giugno) interroga il dio Giano: perché l'anno ha inizio nella stagione fredda, anziché in primavera, quando la natura è in fiore, gli uccellini cinguettano e tornano le rondini? Il dio spiega che l'inizio dell'anno coincide con il nuovo sole, l'anno e il sole nascono insieme. E perché, insiste Ovidio, ci si scambiano auguri? Perché all'inizio di ogni cosa si presta attenzione agli auspici, si ascolta con ansia la prima parola che si ode pronunciare, l'augure osserva il primo uccello che vede in cielo, si offrono datteri, frutta secca e miele (non si conoscevano i cioccolatini) affinché tutto l'anno sia dolce come sono dolci le offerte della natura. Si usava inoltre sceneggiare la cacciata dell'anno vecchio con l'espulsione d'un povero vecchio cencioso, chiamato Mamurio Veturio: gesti, parole che esprimono la partecipazione emotiva al distacco tra un periodo dell'esistenza che si chiude e un altro che si apre, la speranza che quello nuovo sia migliore: sentimenti istintivi, ai quali si accompagnano ricordi, rimpianti e il tentativo, vano, di ignorarli.
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