Panevin e polemiche.
Il sociologo Bernardi: «La Befana? Solo un'intrusa»
Il gazzettino 5 gennaio 2009
Treviso (5 gennaio) - La Befana che vola sulla scopa e arriva nella notte dei 'Panevin', i roghi propiziatori della campagna veneta, perquanto ben accetta, è soltanto un intruso che si è appropriato di unrito esistente da secoli prima della sua comparsa. A sostenerlo è il docente di sociologia dei processi culturali dell'università Cà Foscari di Venezia, Ulderico Bernardi.
A poche ore dall'inizio dell'accensione delle migliaia di fuochi rituali che, da epoche precristiane, illuminano la pianura veneta fino al margine della fascia pedemontana, Bernardi fa scoccare la scintilla per una nuova polemica.
I "Panevin" ufficialmente censiti solo dalla Provincia di Treviso sono circa 130. «La Befana è un'infiltrata - spiega Bernardi - ma non è inopportuna, perché occorre focalizzare l'attenzione su un altro punto. Dalla notte dei tempi nelle civiltà umane il periodo da novembre a gennaio, il più magro sotto il profilo delle risorse naturali e delle scorte alimentari, l'economia della solidarietà, cioè del dono, prevale su quella che oggi chiameremmo "di mercato". Non a caso qui si trovano feste da santa Lucia a san Nicolò fino all'Epifania».
Secondo ingrediente dei fuochi è quello del ritorno della luce: con il solstizio d'inverno il sole riprende a salire e vince la notte. «Il fuoco può anche essere letto come il caos originario - aggiunge Bernardi - che annienta le differenze. I 'panevin' sono appunto feste collettive che aggregano allo stesso modo tutti i ceti sociali e tutte le età».
Terza componente è quella oracolistica. «In Veneto la direzione dell'abbondanza è quella occidentale. Se le faville vanno di là la madre terra ci riserva un anno di abbondanza. Uno dei nomi del panevin è "marantega", per molti - conclude Bernardi - derivazione, appunto, di "mater antiqua".
Il sociologo Bernardi: «La Befana? Solo un'intrusa»
Il gazzettino 5 gennaio 2009
Treviso (5 gennaio) - La Befana che vola sulla scopa e arriva nella notte dei 'Panevin', i roghi propiziatori della campagna veneta, perquanto ben accetta, è soltanto un intruso che si è appropriato di unrito esistente da secoli prima della sua comparsa. A sostenerlo è il docente di sociologia dei processi culturali dell'università Cà Foscari di Venezia, Ulderico Bernardi.
A poche ore dall'inizio dell'accensione delle migliaia di fuochi rituali che, da epoche precristiane, illuminano la pianura veneta fino al margine della fascia pedemontana, Bernardi fa scoccare la scintilla per una nuova polemica.
I "Panevin" ufficialmente censiti solo dalla Provincia di Treviso sono circa 130. «La Befana è un'infiltrata - spiega Bernardi - ma non è inopportuna, perché occorre focalizzare l'attenzione su un altro punto. Dalla notte dei tempi nelle civiltà umane il periodo da novembre a gennaio, il più magro sotto il profilo delle risorse naturali e delle scorte alimentari, l'economia della solidarietà, cioè del dono, prevale su quella che oggi chiameremmo "di mercato". Non a caso qui si trovano feste da santa Lucia a san Nicolò fino all'Epifania».
Secondo ingrediente dei fuochi è quello del ritorno della luce: con il solstizio d'inverno il sole riprende a salire e vince la notte. «Il fuoco può anche essere letto come il caos originario - aggiunge Bernardi - che annienta le differenze. I 'panevin' sono appunto feste collettive che aggregano allo stesso modo tutti i ceti sociali e tutte le età».
Terza componente è quella oracolistica. «In Veneto la direzione dell'abbondanza è quella occidentale. Se le faville vanno di là la madre terra ci riserva un anno di abbondanza. Uno dei nomi del panevin è "marantega", per molti - conclude Bernardi - derivazione, appunto, di "mater antiqua".