Nell'agro di Viggianello, a Rotonda e sul Pollino si organizzano succulente sagre all'aperto
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 19/03/2006
Nemoli/ I fuochi accesi hanno il potere di risvegliare la natura e annunciare l'arrivo della Primavera
NEMOLI Plenilunio e falò propiziatori hanno salutato la notte appena passata la festa di S. Giuseppe l'avvento della primavera e non solo, anche in Basilicata. Comune a quasi tutta la dorsale appenninica lucana - e riscontrabile in molte zone della penisola - l'usanza, una volta, era riferibile pure alla prima domenica di Quaresima in tutta Europa. Altra data calendariale e capodanno contadino, oggi tributata al Padre putativo di Gesù e patrono dei falegnami, il 19 marzo non è quindi soltanto la consumistica «festa del papà», quanto una manifestazione popolare, che nella sua semplicità arcaica attinge a cerimoniali arcaci e pagani in onore del «dio sole». I falò, oggi ancora accesi hanno motivo di esistere per diversa ragioni, non ultima quella di risvegliare la natura secondo i cicli stagionali e della rigenerazione cosmica. Al pari delle cataste ardenti in onore di Sant'Antuono, specie sulla collina materana, le pire di S. Giuseppe hanno carattere lustratorio e apotropaico. Servono cioè ad allontanare gli spiriti maligni e le avversità stagionali. La pratica, oggi assoggettata dalla religione cristiana, rispecchia tutti gli elementi che caratterizzavano i fuochi primordiali - come si legge nelle intuizioni di James Frazer ne «Il ramo d'oro». Si capisce così la similitidine che si riscontra nei «Focarazzi 'i San G'sepp» di castelluccio Inferiore con le più celebri «fogarazze» romagnole del poeta-sceneggiatore Tonino Guerra, esaltate in quel capolavoro di Federico Fellini che è «Amarcord». Vicino a tali focolari si dialoga, si mangia e si beve, si balla e più scatenate sono le danze maggiori e migliori saranno i raccolti.
Ma c'è di più il salto sulle fiamme come il passaggio sul fuoco quasi spento di persone e animali serve a purificare da malanni ed è beneaugurante per la prole. L'abitudine, poi, di conseravrne come amuleti dei resti o braci per portarli nelle case o di disperderne le ceneri nei campi e persino nei pollai, serve a «benedire e proteggere» le mura e aumentare la quantità di uova.
Si spiega così l'intento ludico di rubare - ma si tratta di un furto autorizzato - di «frascine» in quel di Castelluccio. Rami di ginestre, olivo, sarmenti di vite provienenti dalla potatura portano in alto le lingue di fuoco. Tra le fiamme, nei vicoli e negli slarghi, anche sedie, mobili e suppellettili, a significare il vecchio che se ne va. Un po' come accade con la bruciatura della «Segavecchia» , paragonabile alla befana e forse di più alle streghe dell'inquisizione o, più semplicemente, il fantoccio dell'anno che passa (anche impersonificato dal Carnevale).
Così per un magico incanto minuscoli camini all'aperto, impreziositi da succulente sagre all'aperto, si apparecchiano in tutto il Pollino: nell'agro di Viggianello o a Rotonda, dove a Piano Incoronata e Fratta, nella festa del Convito, si mangiano le oraziane «laganeddre» con ceci. Altri mucchi di legna e frasche brillano intorno alla cappella di S. Giuseppe, presso la Taverna del Postiere a Lauria, e poi in quel di Castelsaraceno. Tra i vicoli di Latronico, Carbone per la degustazione di dolci e manicaretti di tutte le massaie come accade intorno ai «fucaruni» di Moliterno e Sarconi. E se a S. Martino d'Agri ci sono maccheroni al «ferretto» a Spinoso si preparano «patane arrustute» sotto la cenere. Prodotti tipici pure a Ruvo del Monte e Rionero (con fagioli e salsiccia). E la serie continua con i falò (focare, fanove, focariedd, fucanoie - o fuochi nuovi) a Paterno, Marsico Nuovo e Vetere, Brienza, Tito, Picerno, Ruoti, Filiano, Atella, Venosa, Ripacandida, Barile, Calciano ecc.
Mille fuochi per scacciare le tentazioni e le «pestilenze» del terzo millennio. Mille fuochi di pace intorno ai quali fare festa, incontrarsi, dalogare, partecipare e condividere il calore, gli alimenti e l'allegria, come i sapori e i saperi, recuperando la memoria e i suoni di una volta come quelli degli ormai rari organetti e zampogne, colonna sonora di un mondo che forse non c'è più...
Salvatore Lovoi
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 19/03/2006
Nemoli/ I fuochi accesi hanno il potere di risvegliare la natura e annunciare l'arrivo della Primavera
NEMOLI Plenilunio e falò propiziatori hanno salutato la notte appena passata la festa di S. Giuseppe l'avvento della primavera e non solo, anche in Basilicata. Comune a quasi tutta la dorsale appenninica lucana - e riscontrabile in molte zone della penisola - l'usanza, una volta, era riferibile pure alla prima domenica di Quaresima in tutta Europa. Altra data calendariale e capodanno contadino, oggi tributata al Padre putativo di Gesù e patrono dei falegnami, il 19 marzo non è quindi soltanto la consumistica «festa del papà», quanto una manifestazione popolare, che nella sua semplicità arcaica attinge a cerimoniali arcaci e pagani in onore del «dio sole». I falò, oggi ancora accesi hanno motivo di esistere per diversa ragioni, non ultima quella di risvegliare la natura secondo i cicli stagionali e della rigenerazione cosmica. Al pari delle cataste ardenti in onore di Sant'Antuono, specie sulla collina materana, le pire di S. Giuseppe hanno carattere lustratorio e apotropaico. Servono cioè ad allontanare gli spiriti maligni e le avversità stagionali. La pratica, oggi assoggettata dalla religione cristiana, rispecchia tutti gli elementi che caratterizzavano i fuochi primordiali - come si legge nelle intuizioni di James Frazer ne «Il ramo d'oro». Si capisce così la similitidine che si riscontra nei «Focarazzi 'i San G'sepp» di castelluccio Inferiore con le più celebri «fogarazze» romagnole del poeta-sceneggiatore Tonino Guerra, esaltate in quel capolavoro di Federico Fellini che è «Amarcord». Vicino a tali focolari si dialoga, si mangia e si beve, si balla e più scatenate sono le danze maggiori e migliori saranno i raccolti.
Ma c'è di più il salto sulle fiamme come il passaggio sul fuoco quasi spento di persone e animali serve a purificare da malanni ed è beneaugurante per la prole. L'abitudine, poi, di conseravrne come amuleti dei resti o braci per portarli nelle case o di disperderne le ceneri nei campi e persino nei pollai, serve a «benedire e proteggere» le mura e aumentare la quantità di uova.
Si spiega così l'intento ludico di rubare - ma si tratta di un furto autorizzato - di «frascine» in quel di Castelluccio. Rami di ginestre, olivo, sarmenti di vite provienenti dalla potatura portano in alto le lingue di fuoco. Tra le fiamme, nei vicoli e negli slarghi, anche sedie, mobili e suppellettili, a significare il vecchio che se ne va. Un po' come accade con la bruciatura della «Segavecchia» , paragonabile alla befana e forse di più alle streghe dell'inquisizione o, più semplicemente, il fantoccio dell'anno che passa (anche impersonificato dal Carnevale).
Così per un magico incanto minuscoli camini all'aperto, impreziositi da succulente sagre all'aperto, si apparecchiano in tutto il Pollino: nell'agro di Viggianello o a Rotonda, dove a Piano Incoronata e Fratta, nella festa del Convito, si mangiano le oraziane «laganeddre» con ceci. Altri mucchi di legna e frasche brillano intorno alla cappella di S. Giuseppe, presso la Taverna del Postiere a Lauria, e poi in quel di Castelsaraceno. Tra i vicoli di Latronico, Carbone per la degustazione di dolci e manicaretti di tutte le massaie come accade intorno ai «fucaruni» di Moliterno e Sarconi. E se a S. Martino d'Agri ci sono maccheroni al «ferretto» a Spinoso si preparano «patane arrustute» sotto la cenere. Prodotti tipici pure a Ruvo del Monte e Rionero (con fagioli e salsiccia). E la serie continua con i falò (focare, fanove, focariedd, fucanoie - o fuochi nuovi) a Paterno, Marsico Nuovo e Vetere, Brienza, Tito, Picerno, Ruoti, Filiano, Atella, Venosa, Ripacandida, Barile, Calciano ecc.
Mille fuochi per scacciare le tentazioni e le «pestilenze» del terzo millennio. Mille fuochi di pace intorno ai quali fare festa, incontrarsi, dalogare, partecipare e condividere il calore, gli alimenti e l'allegria, come i sapori e i saperi, recuperando la memoria e i suoni di una volta come quelli degli ormai rari organetti e zampogne, colonna sonora di un mondo che forse non c'è più...
Salvatore Lovoi