Il Sole 24 Ore, 29/07/1990
Nel vischio si annida la vita
Francesca Marzotto Caotorta
Visitare il giardino di Villa Hambury in Liguria negli anni 60, poteva dare la sensazione di aver visto il paradiso terrestre, l' Eden dove prosperavano tutte le piante del Creato. Allora il giardino era ancora diretto dal professor Masera, allora viveva ancora Lady Hambury, il giardino era ben conservato e custodiva una collezione straordinaria di specie sia ornamentali che medicinali, un patrimonio che bisognava riclassificare, un giardino provato dalle guerre ma pur sempre un giardino di acclimatazione che mandava e riceveva semi da tutto il mondo. Un giardino vivo nel quale lo studioso comincio' a classificare le piante dall' identita' incerta, per seguirne la vita da immigrate. Il mondo delle piante offriva il piacere del collezionista, quello del sapere individuare il minuscolo dettaglio che permette di riconoscere e dare un nome esatto a ogni oggetto visto tra una quantita' di altri simili. Evocando il giardino di allora si ricorda la straordinaria collezione di agrumi, di succulente, di Opunzie, l' indimenticabile pergolato ricoperto da dai fiori gialli come lo zolfo, e quella pianta di che lontano dal suo paese aveva perso le proprieta' di alleviare la fatica, di dare una certa euforia a chi ne masticava le foglie; la terra di Liguria l' aveva come acquietata. Oggi, le annotazioni di allora potrebbero servire al restauro di un monumento botanico degradato a causa del solito caos, governatore-vicario d' Italia. Lo stesso caos aveva, per altri versi, indotto l' enciclopedico giardiniere di Villa Hambury a cercare altre occasioni di studio. E fu proprio l' occasione a portarlo a studiare per quindici anni una sola pianta: una pianta poco appariscente come il vischio, ma che nella famosa Lukas Klinic (nei pressi di Basilea) viene adoperata nella cura del cancro. Nella Lukas Klinic si cura il cancro secondo i principi steineriani, cui si accennera' qui solo per necessita' di cronaca e per quanto concerne l' esplorazione botanica che ci interessa. Si ricordera' ora brevemente che nel mondo ci sono diverse specie di vischio e che lo stesso vischio natalizio (Viscum album) cresce piu' o meno facilmente su diverse piante: molto facilmente su meli e pioppi, molto raramente su olmi (Ulmus campestris) e quercia (tanto che il solo vischio delle querce era per i druidi pianta sacra per eccellenza). Secondo i principi adottati nella viscoterapia si usa l' estratto intero di vischio (conosciuto da tempi immemorabili come pianta medicinale) attribuendo effetti terapeutici diversi a seconda della pianta ospite, cosi' il vischio di quercia e' correlato ai tumori "maschili" (prostata, retto, stomaco, polmoni), il vischio di melo a quelli femminili (seno, ovaie), quello di pino ai tumori della pelle, quello di olmo per le affezioni polmonari. Piu' o meno vent' anni fa l' attivita' dei medici steineriani fu affiancata da una e' quipe di botanici e chimici, diciamo cosi' tradizionali, in modo da individuare i modi per coltivare una pianta di cui si sapeva poco o nulla (a parte la monografia di Von Tubeuf) e che pareva crescere con la regolarita' dei miracoli e soprattutto su piante in via di estinzione come gli olmi. Le prime osservazioni di quegli anni fecero annotare il fatto che il vischio non cresce su tutti gli olmi, ne' su tutte le querce; e l' ipotesi su cui si lavora oggi e' quella secondo cui il nostro semiparassita si insedia su piante che trasmettono una compatibilita' col vischio ai loro discendenti: una compatibilita' "genetica" che se trasmessa per seme e' circa del 5%, mentre e' totale se la pianta viene riprodotta per via vegetativa (polloni radicali, marze, talee). Quindi al botanico che voleva coltivare il vischio non rimaneva che trovare le piante portatrici. Una ricerca facile per il melo, meno facile per la quercia, difficilissima per l' olmo. Si setacciarono tutti i boschi d' Europa, fino a catalogare soltanto trenta olmi "utili" in Francia. Quegli olmi furono riprodotti (oggi ne sono rimasti solo quattro di quelli originali). Nei terreni svizzeri il vischio fu seminato (si schiacciano le bacche sulla corteccia dei rami giovani) e la coltivazione ebbe inizio. Nel frattempo, continuarono gli studi sul rapporto tra semiparassita e specie ospite, e su come questo modificasse la natura dei principi attivi; si studio' la convivenza ottimale tra pianta e parassita (50% pianta, 50% parassita) in maniera che quest' ultima non soffrisse e non riducesse le qualita' dell' alimento necessario all' ospite. Si individuarono i cicli produttivi di ogni specie: ci vogliono querce (Quercus robur, Quercus paetraea) di almeno dieci anni per coltivare il vischio che sara' raccolto dopo altri sette, e olmi di almeno tre anni per iniziare a coltivare molte piante della speranza.
Nel vischio si annida la vita
Francesca Marzotto Caotorta
Visitare il giardino di Villa Hambury in Liguria negli anni 60, poteva dare la sensazione di aver visto il paradiso terrestre, l' Eden dove prosperavano tutte le piante del Creato. Allora il giardino era ancora diretto dal professor Masera, allora viveva ancora Lady Hambury, il giardino era ben conservato e custodiva una collezione straordinaria di specie sia ornamentali che medicinali, un patrimonio che bisognava riclassificare, un giardino provato dalle guerre ma pur sempre un giardino di acclimatazione che mandava e riceveva semi da tutto il mondo. Un giardino vivo nel quale lo studioso comincio' a classificare le piante dall' identita' incerta, per seguirne la vita da immigrate. Il mondo delle piante offriva il piacere del collezionista, quello del sapere individuare il minuscolo dettaglio che permette di riconoscere e dare un nome esatto a ogni oggetto visto tra una quantita' di altri simili. Evocando il giardino di allora si ricorda la straordinaria collezione di agrumi, di succulente, di Opunzie, l' indimenticabile pergolato ricoperto da dai fiori gialli come lo zolfo, e quella pianta di che lontano dal suo paese aveva perso le proprieta' di alleviare la fatica, di dare una certa euforia a chi ne masticava le foglie; la terra di Liguria l' aveva come acquietata. Oggi, le annotazioni di allora potrebbero servire al restauro di un monumento botanico degradato a causa del solito caos, governatore-vicario d' Italia. Lo stesso caos aveva, per altri versi, indotto l' enciclopedico giardiniere di Villa Hambury a cercare altre occasioni di studio. E fu proprio l' occasione a portarlo a studiare per quindici anni una sola pianta: una pianta poco appariscente come il vischio, ma che nella famosa Lukas Klinic (nei pressi di Basilea) viene adoperata nella cura del cancro. Nella Lukas Klinic si cura il cancro secondo i principi steineriani, cui si accennera' qui solo per necessita' di cronaca e per quanto concerne l' esplorazione botanica che ci interessa. Si ricordera' ora brevemente che nel mondo ci sono diverse specie di vischio e che lo stesso vischio natalizio (Viscum album) cresce piu' o meno facilmente su diverse piante: molto facilmente su meli e pioppi, molto raramente su olmi (Ulmus campestris) e quercia (tanto che il solo vischio delle querce era per i druidi pianta sacra per eccellenza). Secondo i principi adottati nella viscoterapia si usa l' estratto intero di vischio (conosciuto da tempi immemorabili come pianta medicinale) attribuendo effetti terapeutici diversi a seconda della pianta ospite, cosi' il vischio di quercia e' correlato ai tumori "maschili" (prostata, retto, stomaco, polmoni), il vischio di melo a quelli femminili (seno, ovaie), quello di pino ai tumori della pelle, quello di olmo per le affezioni polmonari. Piu' o meno vent' anni fa l' attivita' dei medici steineriani fu affiancata da una e' quipe di botanici e chimici, diciamo cosi' tradizionali, in modo da individuare i modi per coltivare una pianta di cui si sapeva poco o nulla (a parte la monografia di Von Tubeuf) e che pareva crescere con la regolarita' dei miracoli e soprattutto su piante in via di estinzione come gli olmi. Le prime osservazioni di quegli anni fecero annotare il fatto che il vischio non cresce su tutti gli olmi, ne' su tutte le querce; e l' ipotesi su cui si lavora oggi e' quella secondo cui il nostro semiparassita si insedia su piante che trasmettono una compatibilita' col vischio ai loro discendenti: una compatibilita' "genetica" che se trasmessa per seme e' circa del 5%, mentre e' totale se la pianta viene riprodotta per via vegetativa (polloni radicali, marze, talee). Quindi al botanico che voleva coltivare il vischio non rimaneva che trovare le piante portatrici. Una ricerca facile per il melo, meno facile per la quercia, difficilissima per l' olmo. Si setacciarono tutti i boschi d' Europa, fino a catalogare soltanto trenta olmi "utili" in Francia. Quegli olmi furono riprodotti (oggi ne sono rimasti solo quattro di quelli originali). Nei terreni svizzeri il vischio fu seminato (si schiacciano le bacche sulla corteccia dei rami giovani) e la coltivazione ebbe inizio. Nel frattempo, continuarono gli studi sul rapporto tra semiparassita e specie ospite, e su come questo modificasse la natura dei principi attivi; si studio' la convivenza ottimale tra pianta e parassita (50% pianta, 50% parassita) in maniera che quest' ultima non soffrisse e non riducesse le qualita' dell' alimento necessario all' ospite. Si individuarono i cicli produttivi di ogni specie: ci vogliono querce (Quercus robur, Quercus paetraea) di almeno dieci anni per coltivare il vischio che sara' raccolto dopo altri sette, e olmi di almeno tre anni per iniziare a coltivare molte piante della speranza.