mercoledì 26 novembre 2008

La Leggenda di Cola di Pesce

La Leggenda di Cola di Pesce
Luciana Monticane
Gli Arcani, aprile 1976, pagine 62-63
Secondo una antica tradizione siciliana viveva un tempo a Messina un giovane ragazzo di nome Nicola, figlio di un povero pescatore, che amava passare la maggior parte del suo tempo in mare, tuffandosi spesso anche a grande profondità. Per questa sua passione era stato soprannominato dai suoi compaesani Cola Pesce e questi non si stancavano mai di sentire dalle sue labbra i racconti delle favolose meraviglie che egli aveva osservato sul fondo del mare: pesci, piante multicolori, coralli, grotte fosforescenti e altre stupefacenti curiosità.
La fama di Cola Pesce divenne così grande a Messina che, non appena l’imperatore Federico giunse in città, volle immediatamente che gli venisse presentato lo strano e famoso personaggio. Per metterlo alla prova il sovrano fece gettare in mare una coppa d’oro e ordinò a Cola di riportargliela, cosa che egli fece prontamente. Federico, rendendosi conto che quello che gli era stato raccontato corrispondeva a verità, lo colmò di onori ma qualche tempo dopo gli venne voglia di sapere come era fatta la Sicilia sotto l’acqua e su che cosa si appoggiasse. Incaricò allora Cola di rispondere a questi suoi quesiti.
Il giovane ubbidiente si tuffò subito. Quando tornò riferì all’imperatore che l’isola poggiava su tre colonne, una delle quali si stava lentamente consumando bruciata dal fuoco che divampava tra Catania e Messina. Federico, incredulo e capriccioso, ordinò a Cola di portargli un po’ di quel fuoco e il coraggioso ragazzo, a mani nude, si gettò in mare per cercare di accontentare l’impossibile desiderio dell’ imperatore.
Nessuno vide più Cola Pesce, solo una macchia di sangue apparve ad un tratto sulla superficie marina e i messinesi credono che egli si sia messo al posto della colonna intaccata dal fuoco per salvare la sua isola e forse è ancora là.
Quella che abbiamo riportato è una delle diciassette o diciotto versioni popolari siciliane della famosa leggenda di, Cola Pesce, la cui prima menzione letteraria risale ad un poeta provenzale del XII secolo, certo Raimon Jordan. La storia di Cola Pesce, nata a quanto sembra al Faro di Messina, venne infatti ripresa da moltissimi scrittori del Medioevo e anche di periodi successivi. Tema di poesie, poemi, opere drammatiche o dissertazioni erudite, la sua fama giunse fino in Spagna.
Molte sono soprattutto le leggende che narrano, come nel caso di quella siciliana sopra riportata, le eccezionali imprese compiute, sotto l’imperatore Federico di Svezia, da quell’arditissimo nuotatore che, secondo alcuni racconti, venne addirittura trasformato a. seguito di una maledizione che sua madre, stanca di vederlo sempre tra le onde, gli lanciò contro in un essere mezzo uomo e mezzo pesce, tutto ricoperto di squame, con le dita palmate come un’anatra e la gola di rana. Un vero e proprio uomo-anfibio insomma.
Nonostante la sua origine siciliana, Cola Pesce è però diventato, con il passare del tempo, uno dei personaggi più caratteristici del folklore napoletano, ed è proprio a Napoli infatti che è possibile ammirarne una fantastica raffigurazione. Si tratta di un antico bassorilievo, rappresentante la figura atletica di un uomo estremamente villoso e armato di un lungo coltello, collocato sulla facciata del fabbricato che fa angolo tra via Mezzo-cannone e via Sedile del Porto.
Come spiega anche una iscrizione settecentesca, questa opera venne portata alla luce nel cavare le fondazioni del Sedile di Porto, e nonostante, fin dalla fine del ‘500, gli studiosi abbiano avanzato l’ipotesi che si tratti di una raffigurazione del mitico Orione, è da secoli popolarmente chiamato il Pesce Niccolò e il suo corpo non sarebbe coperto di folta peluria, bensì da piccole onde stilizzate.
Così come Robin Hood altro non fu che un simbolo della resistenza degli inglesi contro gli invasori, Cola Pesce simboleggia da sempre le avventure, i pericoli, gli ardimenti degli uomini che vivono sul mare e del mare, ed è per questo che la sua leggenda si è trasformata sulle nostre coste meridionali in una vera e propria parte di sto -ria locale. Ancora oggi non è raro sentire qualche anziano parlare della sbalorditiva resistenza sott‘acqua di Pesce Niccolò con una familiarità e una semplicità che fanno pensare che questi altro nonchè un loro vecchio amico o un loro avo. In particolare, non mancherà certo di farvi notare che ai “suoi tempi” non esistevano mezzi che potessero aiutare il subacqueo artificialmente.


Viene quasi da pensare che Cola Pesce sia stato un personaggio reale. In verità non esistono prove o documentazione che ne attestino una passata esistenza. Che si sia trattato di un essere umano in carne ed ossa o che non sia stato altro che un parto della fantasia popolare ha tuttavia, a nostro avviso, ben poca importanza, in quanto è l’idea di ciò che egli ha rappresentato e rappresenta che conta, e vi possiamo garantire che per la gente di mare Cola Pesce è rimasto e rimarrà, forse ancora per molto tempo, uno dei più grandi eroi della storia. Se passate per Napoli non dimenticate dunque di andare a rendergli omaggio.


Bibliografia

I. Calvino: Fiabe Italiane, volume 2°, Oscar Mondadori, 1968.
G.Pitré: Studi di leggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leggende siciliane, Torino, 1904

domenica 23 novembre 2008

MIBAC: BONDI ANNUNCIA DDL SOSTEGNO BANDE, CORALI E GRUPPI FOLKLORICI

MIBAC: BONDI ANNUNCIA DDL SOSTEGNO BANDE, CORALI E GRUPPI FOLKLORICI
(ASCA) - Roma, 22 nov 2008 -

Il ministro per i Beni culturali e le Attivita' culturali Sandro Bondi ha annunciato la prossima presentazione in parlamento di un disegno di legge di sostegno e valorizzazione delle bande musicali, corali e gruppi folklorici. Ddl che sara' preso in esame dal Consiglio dei ministri la prossima settimana.

Occasione dell'annuncio e' stato l'intervento alla Festa della musica, a Roma a Piazza del Popolo.

''In Italia -ha detto Bondi- esistono piu' di 4.500 bande, 2.500 corali e 600 gruppi folkloristici, che coltivano con passione in ogni angolo del Paese la nostra cultura musicale, facendo vivere momenti inconsueti e inattesi di gioia diventando esse stesse sinonimo di festa. Tutte insieme queste realta' tutelano e tramandano le tradizioni musicali della nostra storia''.

''Per questo motivo il Ministero, riconoscendo il loro alto valore culturale, ha voluto promuovere un disegno di legge -ha spiegato Bondi-, che la prossima settimana verra' presentato in Consiglio dei Ministri per poi approdare in Parlamento.

Il testo e' il frutto dell'attiva partecipazione di numerose associazioni musicali e di molti cittadini interessati, che hanno voluto far conoscere i propri suggerimenti attraverso un'innovativa consultazione telematica''.

L'iniziativa legislativa -ha aggiunto- serve a tutelare e valorizzare le bande musicali, i cori non professionistici ed i gruppi folklorici.

Queste formazioni favoriscono l'aggregazione sociale, indirizzando i giovani a gustare e vivere la musica dal vivo come protagonisti.

I complessi bandistici, i cori non professionistici e i gruppi folklorici hanno anche un ruolo importante nella ricerca e nell'elaborazione di strumenti e linguaggi musicali, che oggi rischiano di essere dimenticati.

Il disegno di legge riconosce, salvaguarda, promuove e valorizza, come patrimonio dell'intera comunita' nazionale forme di espressione musicale e di creativita' ancorate alle nostre tradizioni culturali, svolte da complessi costituiti in associazioni e fondazioni riconosciute''.

''Sono certo -ha concluso Bondi- che il Parlamento sapra' accogliere favorevolmente questa proposta, contribuendo positivamente in sede di dibattito alla sua approvazione''.

min/cam/ss

sabato 15 novembre 2008

La Madonna delle grazie svelerà il suo mistero

La Madonna delle grazie svelerà il suo mistero
SABATO, 15 NOVEMBRE 2008 la repubblica - Palermo

Sarà restaurata l´opera attribuita alla scuola del Gagini che si trova a Santa Maria della Catena

La presenza contemporanea della corona e della colomba nel blocco alludono ad un messaggio ancora tutto da decifrare
La felicità dei giovani scatenati nelle danze e le perplessità del critico de "L´Ora", secondo il quale non sarebbe rimasta traccia del genere musicale

PAOLA NICITA

Una scultura, quella della Madonna di tutte le Grazie, ricca di storia, ma anche di aneddoti e un po´ di mistero. La collocazione, innanzitutto: si trova nella chiesa di santa Maria della Catena, ma vi fu collocata solo nel 1823, in quanto proveniente dalla chiesa di san Nicolò della Kalsa. Il nome, in secondo luogo, che racconta il potere miracoloso della scultura, molto venerata e amata dai palermitani che ad essa si rivolgono da secoli chiedendo grazie, per l´appunto, e miracolose intercessioni. Storie note e conosciute almeno fino a qualche tempo addietro, ma rintracciabili anche attraverso una testimonianza del Mongitore, «La Madonna si trovava nella strada dell´Alloro, dove aveva fatto molti miracoli»; dunque si fu costretti a spostarla nella vicina chiesa». Altra testimonianza legata alla sacra immagine è quella di Lazzaro Di Giovanni che scriveva: «Si vede un´antica scultura in marmo in cui in mezzo al rilievo vi è Maria Santissima con suo divino figliolo in braccio in attitudine di benedire, ai fianchi otto angeli, quattro per parte, sopra vi è una corona sulla quale posa una colomba e sopra questa un ostensorio coll´ostia sostenuta da due angeli».
È questa preziosa Cona marmorea, di periodo cinquecentesco e attribuita alla scuola dei Gagini al centro di un restauro che è stato presentato ieri dagli sponsor, Guglielmo Bellavista e Nicola Monteleone del Lions Club di Palermo, insieme alla restauratrice, Ivana Mancino, alla storica dell´arte Maria Concetta Di Natale e al rettore della chiesa don Carmelo Torcivia. I restauri sono seguiti dalla Soprintendenza. La scultura oggi si presenta opaca e ricoperta da depositi di polvere, di sostanze di varia natura e macchie di cera. «Il restauro vero e proprio, comunque, sarà anticipato da alcuni saggi - spiega Ivana Mancino - che permetteranno di conoscere alcune caratteristiche chimiche fondamentali per potere intervenire. Saranno effettuate indagini radiologiche e spettroscopiche e poi tasselli di pulitura».
La Cona marmorea policroma, oggi collocata nella terza cappella a destra sopra l´altare gaginesco, è infatti composta da due differenti blocchi: uno superiore e uno inferiore, probabilmente realizzati da mani di artisti differenti, comunque riconducibili a scuola gaginiana. L´impianto compositivo appare complesso, la Vergine è circondata da una schiera di angeli, mentre nella parte superiore due angeli reggono una custodia con la colomba della Spirito Santo, racchiusi in una nicchia decorata con una conchiglia. L´altare è adornato da pregevoli bassorilievi raffiguranti storie relative ai santi Pietro e Paolo, attribuiti alla mano abile di Giacomo Gagini e alla sua bottega, nella metà del Cinquecento.
L´assoluta novità, nella parte della scultura raffigurante la Madonna, è la presenza contemporanea della Corona e della Colomba. «Potrebbe avere due significati - dice la restauratrice che ha analizzato la statua insieme a Maria Concetta Di Natale - un significato legato alla committenza, per cui l´Ostensorio è indicativo della Congregazione del Santissimo sacramento, oppure Corona e Colomba insieme alludono ad un messaggio ancora da svelare. La scultura infatti, potrebbe essere in realtà formata da tre parti, dunque sarebbe mancante di un frammento». L´ostensorio, il vaso sacro che reggono i due angeli, utilizzato per esporre ai fedeli o portare in processione l´eucarestia è raffigurato da una teca a base esagonale nella quale è riposta l´ostia consacrata di colore dorato, con un piede che poggia sulla colomba. Questo modello di ostensorio si diffonde largamente a partire dal XVI secolo, soprattutto in relazione allo sviluppo della processione del Corpus Domini. Spiegano le studiose: «L´ostensorio raffigurato nella Cona è ha base ottagonale, modello giunto fino a noi in argento, potrebbe essere un elemento importante, singolare, richiesto dalla committenza, forse la Cona fu commissionata dalla congregazione del Ss. Sacramento, congregazione che si affermava a Palermo nel XVI secolo».
Altro fatto singolare, legato all´iconografia della scultura, a parte la Corona e la Colomba insieme, è la posizione del Bambino Gesù, raffigurato benedicente e in piedi. «Possiamo dire - prosegue Mancino - che per quanto riguarda la statutaria di questo periodo si tratta di un unicum assoluto, dato che il bambino è generalmente raffigurato tra le braccia della Madre; però è una iconografia che in questo periodo si rintraccia nelle pitture. per questo motivo si è ipotizzato che il committente possa aver fornito all´artista un dipinto a cui ispirarsi, dipinto che conteneva alcuni elementi per l´appunto mai riscontrati nella scultura siciliana cinquecentesca».
Le ipotesi legate all´attribuzione si dirigono per lo più in direzione di Francesco del Mastro, allievo di Antonello Gagini: «Un´attribuzione che è guidata da due iconografie simili - conclude Ivana Mancino - entrambe dell´artista, una delle quali si trova a San Mauro Castelverde e l´altra a Termini Imerese. Vedremo dopo i risultati dei saggi e delle prime puliture se verranno registrate altre ipotesi». Il progetto di restauro di opere gaginiane necessiterebbe di un ulteriore sponsorizzazione, perché oltre alla Cona, sono inattesa di recupero quattro statue delle Vergini, che raffigurano S. Ninfa, S. Barbara, S. Oliva, S. Margherita opere di Antonello Gagini eseguite con la collaborazione dei figli Antonino e Giacomo intorno al 1540, oltre ad un gruppo di bassorilievi di Giacomo Gagini, che narrano episodi dei SS. Pietro e Paolo ed una Crocifissione facenti parte dell´altare della "Madonna di tutte le Grazie".

mercoledì 5 novembre 2008

CALENDIMAGGIO

CALENDIMAGGIO

Per la cristianità il mese di maggio è notoriamente dedicato alla Madonna. Dietro la tradizione cristiana è però tuttora presente l'eco di esperienza cultuali più antiche , che si perdono nel passato pagano e si riferiscono ai riti di maggio, presenti presso moltissime popolazioni celtiche.
Di questi rituali, inseriti all'interno delle pratiche del Calendimaggio, vi sono scarse memorie, anche queste molto scolorite, che da sole non sono in grado di restituire la grande diffusione incontrata nel passato dai tradizionali festeggiamenti praticati tra la fine di aprile e l'inizio di maggio.
In genere i "maggi" sono rappresentazioni alquanto articolate, realizzate da gruppi improvvisati o organizzate in seno alle cosiddette badie o confraternite laiche.
I gruppi si muovono all'interno di una comunità, cantando e recitando secondo un canovaccio spesso arcaico, via via reinventato e costituito da filastrocche, poesie, canzoni, serenate e altre forme di ritualità orale, anche accompagnate da aspetti coreutici quali la processione e in particolare la danza.
La caratteristica principale di questa antica usanza è una sorta di questua che porta di casa in casa la voce della natura, sempre premiata da un'offerta donata ai membri dei gruppi di giovani che "cantano maggio".
Strutturalmente i "maggi" possono essere suddivisi in due gruppi:
-i Maggi Lirici, che hanno toni marcatamente profani, costituiti da canzoni, musiche e azioni dirette a porre in rilievo gli aspetti più emblematici della stagione (quindi inni alla natura, all'amore, alla rinascita). Sono noti i Maggi Lirici con sostrato sacro, anche se meno diffusi e oggi ormai quasi totalmente dimenticati, nei quali i soggetti principali sono le anime del purgatorio (anche qui si tratta di rituali in cui prevale il tema della rinascita, in questo caso dell'anima). I Maggi Lirici sono anche chiamati Maggiolate.
-i Maggi Drammatici invece possono essere considerati una evoluzione sceneggiata dei Maggi Lirici, con l'apporto di figure recitanti e voci fuori campo, che donano al rito i toni caratteristici dell'azione teatrale. Nei Maggi Drammatici vanno segnalati alcuni elementi simbolici che, pur non essendo prerogativa di tutte le manifestazioni di questo genere, possono essere rinvenibili in diversi casi: la proglamazione di una Regina del Maggio, il dono di un ramo fiorito ai proprietari delle case davanti alle quali si cantano le odi, la questua, l'innalzamento dell'Albero di Maggio (evolutosi in alcuni casi in Albero della Cuccagna), l'accenzione di un falò e infine l'offerta di uova ai questuanti.
Quest'ultima tradizione si è poi diffusa dando origine al dono dell'uovo che è diventato simbolo del Dono della Rinascita, da cui il nostro Uovo di Pasqua.
Per quanto riguarda il tema dell'albero, ricordiamo che in passato, nella sera del 30 aprile, i giovani si recavano nei boschi e sradicavano un albero che poi piantavano nella piazza del paese come omaggio alle autorità locali. In cima si legavano doni, prevalentemente di tipo alimentare, e la cerimonia si chiudeva con la gara tra i giovani per arrivare in cima all'albero e raccogliere i prodotti legati lassù.
In alcune località le canzoni dei Maggi eano in prevalenza eseguite di giorno dalle donne, Spose di Maggio (solitamente zitelle o vergini), mentre il Canto delle Uova era quasi sempre maschile e notturno. In genere il canto di maggio può essere considerato una sorta di versione gioiosa e pagana delle drammatiche e cattoliche Rogazioni. Di qui probabilmente il tentativo di cristianizzarlo inserendo in tale canto alcune allusioni alla Madonna.
Si ha notizia di azioni contro i Maggi cantati durante le ore notturne e aboliti perché occasione di disturbo e perché la festa notturna evocava esperienze rituali "altre", collegabili al paganesimo e al satanismo. Non è casuale che in alcune fonti dei XVIII secolo vi sia l'indicazione chiara che i Maggi notturnifurono aboliti perché considerati pagani.
Va osservato che dietro queste ricorrenze vi è un retroterra cultuale precristiano molto articolato, che si estende dai Floralia romani al Bertane celtico: tutte le manifestazioni che si svolgevano tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio.
E' quindi proprio in questo sostrato che possono essere rintracciati gli elementi determinanti per la demonizzazione cristiana dei Maggi, in particolare quelli notturni.
Nella tradizione precristiana alcune figure centrali dei rituali erano femminili, per esempio le dee Flora e Maia: "i Romani, che festeggiavano Maia in maggio, ritenevano che il nome di questo mese provenisse dalla dea. La critica moderna tende invece a vedere nel nome Majus una derivazione diretta dalla stessa radice mag/crescere, diventar grande, da cui le parole Magis, Magnus, major" la cui trasformazione nell'interpretazione demonizzante ne ha fatto delle streghe adepte di Satana.
E' sicuramente da considerare come molte donne accusate di stregoneria dicessero di essere andate, durante la notte, in luoghi consacrati al culto seguendo una Bona Dea, oppure una Signora del Gioco, chiare reminiscenze delle dee pagane.
Le Floralia:
Toschi divea che "si trattava di feste estremamente licenziose, Giò nell'ultimo secolo della repubblica vi prendevano parte delle danzatrici-meretrici, le quali non aspettavano che le urlanti richieste della folla accesa di libidine per mostrarsi nude: degenerazione, o meglio illascivimento cittadinesco di un prisco costume che aveva in origine carattere ritualistico e un precuso scopo, quello di favorire, sul principio della magia simpatica, la fecondazione della terra e quindi promuovere il felice sviluppo di tutta la vita vedetale".
Proviamo ad immaginare l'evoluzione dell'atteggiamento comune nei confronti dell'archetipo femminile presente all'interno dei rituali dei Maggi: Flora, Maia e altre dee sono diventate Redine di Maggio nell'ambito del folklore, mentre Bona Dea e Signora del Gioco nell'ambito della stregoneria, evolvendosi infine nella figura della Madonna nell'ambito della tradizione cristiana.
"Per giungere a una soluzione esatta del problema è bene tenere sempre collegata la rappresentazione con l'insieme della festa di cui essa costituisce il punto culminante. Ora, la dedicazione del mese di maggio a Maria, l'istituzione degli altarini della Madonna per soppiantare i troni delle Regine di Maggio, la questua per le anime purganti, in una parola, il capovolgimento del significato delle feste di maggio da profano a sacro, è avvenuto soltanto in questi ultimi due o tre secoli."

dal libro: "Magia WICCA. storia, riti, cerimonie" di Cristopher Wallace

Trance, Guarigione, Mito

AA. VV.
Trance, Guarigione, Mito
Pagine 184. Nardò (LE), Besa.
Otto importanti studiosi italiani, appartenenti all'ambito della ricerca storiografica e antropologica affrontano in altrettanti saggi quelli aspetti del rituale sincretico del tarantismo ritenuti a torto oscuri e finalmente decifrati alla luce di documenti di recente scoperta. A partire dalla grande lezione di Ernesto De Martino, l'inquietante universo dell'animale mitico "tarantola" si svela in tutti i suoi molteplici significati attraverso le vicende della mitologia magnogreca e ancor prima paleomediterranea, del dibattito medioevale sui veleni, della magia naturale e della stregoneria, della medicina iatromeccanicistica alle soglie dell'illuminismo, infine delle sue nuove configurazioni nell'epoca della postmodernità. Ne emerge un quadro sorprendente, di ampio e profondo respiro culturale, teso fra retaggio arcaico e nuovo misticismo contemporaneo, fra esoterismo e istanze della razionalità. Paolo Apolito, antropologo dell'Università di Salerno, si interroga sul significato attuale del rito della tarantola – più come memoria e come segno di identità locale – in un Mezzogiorno in piena trasformazione e contraddizione. In seguito ad uno scavo instancabile, appassionato come la scrittura che lo esprime, l'autore giunge a far comprendere le ragioni per le quali un fenomeno rimasto in latenza per quasi trent'anni torna improvvisamente a far parlare di sé. Gino Leonardo Di Mitri, storico e ricercatore dell'Istituto "Diego Carpitella", riconsiderando l'ignorato capitolo del tramonto della civiltà bizantina in Terra d'Otranto, perviene ad una definizione del tarantismo più complessa e meno angusta di quella che si sarebbe potuta supporre, in un contrappunto fra antiche danze mediterranee e indizi di religiosità sincretica racchiusi in un autentico dramma sacramentale. Bernardino Fantini, storico della medicina e direttore del prestigioso Institut "Louis Jeantet" dell'Università di Ginevra, ripercorre la storia del tarantismo sulle tracce di Giorgio Baglivi, il protagonista della prima vera 'rottura epistemologica' nell'ambito delle indagini sulla sindrome. Sono finalmente passati al vaglio le teorie e i metodi circa l'efficacia della musica contro il morso del ragno, le interpretazioni chimica e meccanica del morbo, i retroterra fisici e fibrillari di una complessa e innovativa prassi clinica impostasi sul finire del XVII secolo. Vittorio Lanternari, decano dell'Università "La Sapienza" di Roma e padre fondatore degli studi contemporanei di etnopsichiatria, stabilisce uno stimolante raffronto fra le ataviche aspettative di salvezza e di guarigione di cui è stato teatro il tarantismo e le nuove forme di devozione mariana di cui è paradigma illuminante il fenomeno di Lourdes. L'evento 'metastorico' della sofferenza ed il conseguente ricorso alla risorsa del 'pellegrinaggio' vengono esaminati in una impeccabile lezione di antropologia sociale e culturale di sapiente taglio comparativo. Gabriele Mina, ricercatore dell'Università di Genova, cerca di leggere in filigrana alcuni aspetti degli interventi di Epifanio Ferdinando, Athanasius Kircher e Giorgio Baglivi per far emergere il profilo retorico di un'epoca quale il '600. Una riflessione che, per quanto circoscritta ai temi della storia del pensiero scientifico, riesce a tracciare un quadro avvincente della mentalità imperante nel 'secolo d'oro' della tarantola. Gianfranco Salvatore, musicologo e antropologo dell'Università di Lecce e direttore dell'Istituto "Diego Carpitella", riesaminando la copiosa letteratura prodotta sul tema del tarantismo all'indomani della celebre Terra del rimorso, mette a confronto gli imprescindibili approdi dell'esperienza demartiniana e le improrogabili istanze di superamento della ricerca tradizionale. Ne scaturisce un vero e proprio documento programmatico della nuova stagione di studi sul fenomeno inauguratasi negli anni '90. Maria Rosaria Tamblé, funzionaria dell'Archivio di Stato di Lecce e componente la Società di Storia Patria per la Puglia, riporta alla luce due importanti vicende processuali dei secoli XVII e XVIII contro tarantati ed esercenti le arti magiche tratte da quella ricca miniera che sono i fondi documentali dei vescovadi salentini. Le 'storie notturne' di Caterina 'la Greca' e di Francesco da Casalnuovo, ripropongono il tema del tarantismo entro un contesto ritenuto finora ad esso estraneo quale quello della possessione e della stregoneria.

per chi è interessato all'argomento consigliamo di seguire la pagina curata dalla Libreria Neapolis