domenica 23 ottobre 2011

Antiche acconciature francesi

                                                         Antiche acconciature francesi

Contadini napoletani ritornano dal pellegrinaggio dal santuario della madonna dell'arco di Leopold Robert

Contadini napoletani ritornano dal pellegrinaggio dal santuario della madonna dell'arco di Leopold Robert.

venerdì 23 settembre 2011

BAMBOLA DEI MALGARI

BAMBOLA DEI MALGARI

(f; Sennenpuppe, Sennentuntschi, Tolgg, Thggeli, Statua ci cente). Nelle leggende svizzere si rac-conta di malgati che, durante la permanenza negli alpeggi, rea-giscono al desiderio di una presenza femminile costruendo una bambola o una statua alla quale danno un nome e del cibo. La bambola prende vita ed è in grado di svolgere lutti i lavori fem-minili. Quando in autunno gli alpigiani lasciano le malghe, non vogliono portare con sé a valle la creatura demoniaca, la quale pretende allora che UNO dei malgari rimanga con lei. Mentre gli altri lasciano l’alpeggio vedono che la statua vivente uccide il loro compagno, Io scuoia e stende la sua pelle sul tetto delta baita. Schmidt definisce questo tipo di storie leggende erotiche delle malghe poiché vi si narra di alpigiani che, costretti a pas-sare tutta l’estate nei solitari pascoli alpini, si costruiscono coi materiali più diversi una figura femminile e la ospitano «alter nativamente nei loro letti».
La leggenda ricorda la storia di Pigmalione che, come i mal-gari, costruisce una figura che poi prende vita. Il motivo dello scorticamento dell’alpigiano è invece un’aggiunta medievale-cristiana che pretende una punizione esemplare per l’atto sacri-lego di chi crea, dà vita e ha rapporti sessuali con la bambola delle malghe.
Il drammaturgo svizzero Jorg Selmeider ha rielaborato que-sto argomento per il teatro in un’opera intitolata Der Sennen-tuntscfzj. Anche l’austriaco Felix Mitterer ha ripreso dei motivi di questa leggenda nel suo dramma Die wilde Frau (la donna selvaggia).




Stampa popolare russa

                                                      Stampa popolare russa

mercoledì 31 agosto 2011

Le Langhe di Fenoglio trasformate in un museo

Le Langhe di Fenoglio trasformate in un museo
SABATO, 27 AGOSTO 2011 la repubblica - - Torino

E´ un progetto del comune di San Benedetto Belbo

Da Alba a Castino, da Murazzano a Mango: tanti sono i luoghi finiti nelle sue pagine

Un museo diffuso per Beppe Fenoglio, nei paesi delle Langhe in cui ambientò i suoi romanzi e i suoi racconti. È il progetto messo in cantiere dal comune di San Benedetto Belbo, uno dei luoghi del cuore, dell´infanzia e dell´adolescenza, dello scrittore di Alba, che ha chiamato a raccolta per oggi, dalle 16 alla Biblioteca civica, dirigenti scolastici, presidenti di associazioni culturali, docenti, studenti, lettori e ricercatori «affascinati» dall´autore de «La malora». Lo scopo è quello di dare concretezza a una «iniziativa voluta per fare conoscere e valorizzare i percorsi fenogliani», dal titolo inequivocabile: «La bellezza delle Langhe nei paesi di Fenoglio».
San Benedetto è un borgo che possiede, tra le memorie di pietra, l´osteria-privativa di Placido Canonica al centro di diverse pagine di Fenoglio; ora la Fondazione Bottari Lattes, che l´ha rilevata dall´ex Premio Grinzane Cavour, intende restaurarla. Ma tanti altri sono, in Langa, i luoghi fenogliani, da Alba a Castino, a Mango, a Murazzano. Occorre pertanto dare consistenza e «capacità attrattiva» a un sistema che già esiste. Ne discuteranno tra gli altri, nel pomeriggio odierno, il sindaco di San Benedetto, Emilio Porro, Donato Bosca, per l´Associazione culturale Arvangia, e Silvio Vaglio, dell´Osservatorio di tutela paesaggistica di Langhe e Roero. Sia Bosca sia Vaglio, del resto, spiegano i promotori dell´iniziativa, «sono al rientro di una vacanza-scuola che li ha visti osservatori attenti di siti e di musei della Croazia», nonché interessati all´idea di museo diffuso di cui è portavoce l´architetto Zeljco Kovacic.
La rete museale per Fenoglio, del resto, non si pone soltanto come operazione di salvaguardia di un territorio che è parte integrante della grande letteratura italiana del Novecento. È altresì il recupero della memoria di un mondo contadino che, sia pure tra le insidie e le ferite del presente, sopravvive ancora.
(m. nov.)

stampa raffigurante scene di allevamento in Maremma.


stampa raffigurante scene di allevamento in Maremma.

Alceste Campriani - spigolatura


Alceste Campriani - spigolatura.

lunedì 29 agosto 2011

Quando tradizione e modernità si abbracciano

Quando tradizione e modernità si abbracciano
DOMENICA, 28 AGOSTO 2011 LA REPUBBLICA - Bari

Il Concertone valorizza equilibri ancestrali di una società contadina

Luigi Chiriatti: qui abbiamo una memoria spezzata che è necessario ricomporre

La Notte della Taranta parte dalla ricostruzione di una cultura antica e dalla valorizzazione di equilibri ancestrali e fragili di una società contadina che aveva vissuto in un equilibrio autarchico, pieno di contraddizioni, paganesimi, povertà ed ingiustizie, di donne sotto il gioco del caporale e dei mariti.
La gente iniziò a venire in Salento ai primi anni ‘90 perché trovava qualcosa che altrove si era perso e che qui si stava provando a recuperare. Era un luogo che si era protetto, almeno in parte, dalle aberrazioni del turismo di massa. Nelle mie tante peregrinazioni ho fatto domande a tanta gente. Luigi Chiriatti è uno dei fondatori del Canzoniere Grecanico Salentino e direttore editoriale di Kurumuny.
Cosa è cambiato nella cultura tradizionale salentina dal tarantismo ad oggi?
«È cambiato il contesto e l´immaginario. Abbiamo una memoria spezzata, da ricomporre. È fondamentale, perché si riferisce a sistemi di riferimento coerenti con le pratiche. Se sviluppassimo per bene questa ricerca sulla nostra cultura potremmo diventare un modello egemone, con uno sviluppo basato su turismo, agricoltura e biosfera. A me non interessa che la tradizione sia cantata differentemente, l´importante è che si allarghino le progettualità della cultura del territorio. Bisogna educare le persone. Se abbiamo un progetto forte e grosso si può puntare ad un progetto eticamente pulito. A quel punto ben vengano i riflettori della Notte della Taranta».
A Sergio Blasi, deus ex machina della Notte della Taranta, per anni sindaco di Melpignano, chiedo quale sia il rapporto tra la Notte della Taranta e la cultura tradizionale salentina.
«Sotto il profilo politico, il torto più grande che si possa fare alla cultura popolare è riproporre la tradizione. Mistificare non porterebbe da alcuna parte. Un tempo c´erano microcomunità che si muovevano. Sarebbe assurdo e scellerato riproporre un mondo arcaico che aveva drammi come quello delle vedove bianche, ad esempio».
Il Salento è il primo caso in Italia di perfetto equilibrio tra turismo e cultura. Non c´è il pericolo, attraverso questi grandi eventi, di determinare un deterioramento dei caratteri culturali e paesaggistici che la contraddistinguono?
«La politica deve costruire opportunità e benefici per i cittadini. Questa terra come tutto il Sud è contraddistinta da secoli di povertà. Intere generazioni sono partite per il mondo per fame. Il Salento però non è più periferia, proprio grazie a queste scelte politiche e culturali. La Notte della Taranta non è marketing territoriale. L´idea di base è che la cultura può essere una grande infrastruttura che modifica le politiche».
La Notte della Taranta si è rivelata una formula forse contraddittoria ma vincente. Ecco come mi piacerebbe pensare questa festa, come un luogo di identità e costruzione di comunità.
E il pensiero corre a Uccio Aloisi, al quale è dedicato il festival, amante di stornelli, uomo dalla bella voce. Per secoli, per millenni, c´è sempre stata nel suo viso antico, in ogni ruga, una semina, una canzone. Non esiste un pensiero contadino senza Uccio Aloisi. Perché senza un cantastorie non esiste comunità. Lui, Mick Jagger del Salento, conosceva la regola della musica. Far star bene la gente. Se c´è qualcuno che ha saputo raccontare una storia in Salento fuori dal tempo, nel tempo, è lui. Umorale, scorbutico, senza rispetto. Cantava sempre "Fiori di tutti i fiori", stornello meraviglioso. Immagino il Salento frutto di bei fiori che siano potuti nascere dalla terra, in un luogo amaro. Perché, come cantava De Andrè, "dai diamanti non nasce nulla, dal letame nascono i fiori".

martedì 9 agosto 2011

costumi tradizionali serbi agli inizi del 900

                                               costumi tradizionali serbi agli inizi del 900

martedì 26 luglio 2011

La grotta segreta dl Collisani

La grotta segreta dl Collisani
TANO GULLO
SABATO, 09 LUGLIO 2011 LA REPUBBLICA Palermo

Petralia Sottana ha riscoperto lo studioso che fece luce sul passato madonita partendo dal mito di una "montagna incantata"
Alcuni dei reperti rinvenuti nel cunicolo del Vecchiuzzo sono esposti al Salinas
Un magistrato che era anche collezionista pittore mancato gallerista e critico

È la storia di un mito e di un sognatore: da una parte la grotta delle fantasticherie, il recesso segreto della "truvatura", il tesoro rivelato in sogno, e dall´altra uno studente ostinato, che scatena tutto il suo impeto giovanile alla ricerca di quell´anfratto nella roccia di cui fin dall´infanzia ha sentito discettare dotti studiosi e arguti contadini. Siamo a Petralia Sottana negli anni Trenta e lì, come in ogni paese siciliano, i vecchi alimentano favole su nascondigli inaccessibili, ricettacoli di briganti e disertori, ma anche di scrigni luccicanti di ogni ben di dio. Quanti racconti su sogni rivelatori, dettati dalle buonanime di familiari deceduti, che la dabbenaggine dei beneficiati vanifica rivelandoli agli amici; e così invece del cofanetto colmo di monete e preziosi si ritrovano nelle mani un bel mucchio di carbone. Sono queste le favole raccontate ai ragazzi dei paesi siciliani prima che la televisione portasse in ogni casa il mondo vero e quello irreale dei cartoon.
Sulla Grotta del Vecchiuzzo a Petralia però c´è più di uno sciame di dicerie dilatate nel tempo. C´è un libercolo scritto da un dotto del paese, Giuseppe Inguaggiato, stampato nella tipografia Priulla di Palermo che avalla la leggenda popolare secondo la quale un cunicolo si snoda da "Roccabalata", la parete di roccia che fronteggia il paese attraversa le viscere di tutta la montagna per sbucare nel versante opposto in contrada "Lume secco". E ci sono i "cunti" dei vecchi che hanno per protagonisti delinquenti, fuggiaschi e disertori che trovano riparo nel cuore della rocca. Basta e avanza per accendere la fantasia di Antonio Collisani.
«La ricerca del cunicolo si presentava alquanto affascinante - scrive il Collisani in un suo memoriale - l´ipotesi poi dell´eventuale del leggendario "buco" con l´altrettanta leggendaria grotta del Vecchiuzzo, di cui avevo qualche volta inteso parlare in paese come di un temuto ricovero di banditi accessibile solo a chi per grande esperienza ne conosceva l´ingresso assolutamente occulto, rendeva l´impresa assolutamente entusiasmante. Era l´anno 1934 quando iniziai le ricerche. Giravo solo per la montagna o in compagnia di un amico Eugenio Carapezza. In queste peregrinazioni, che durarono ben due anni, tante volte rischiammo la vita sulla parete di roccia e sempre tornammo a sera con l´amarezza del fallimento».
Nel frattempo per la sua passione per l´arte e l´archeologia il giovane viene nominato Ispettore onorario delle antichità e scavi per quella zona delle Madonie. E bussando qui e là ottiene dal Club alpino italiano un finanziamento di tremila lire (una ricchezza insperata per quei tempi, dato che uno sterratore che lavora col piccone dall´alba al tramonto viene pagato dieci lire al giorno).
Collisani e il suo amico con quel gruzzoletto ingaggiano alcuni spalatori e vanno all´assalto della montagna. Grazie a un vecchio cacciatore individuano tre potenziali ingressi e via con i picconi. Scava che scava per settimane e dopo due tentativi falliti, il terzo obiettivo rivela la grotta. «Il buco si aprì verso sera, dopo una giornata di sole, aveva un diametro di non più di 50 o 60 centimetri. Fermai i lavori con grande sorpresa degli operai che vedevano giunto il momento di spartirsi il tesoro. Nelle Madonie per la prima volta si facevano scavi archeologici. La mentalità locale induceva a credere che si scavava solo per trovare il favoloso denaro del tesoro. Ci volle molto per impedire che gli operai si introducessero nel buco aperto nella montagna e, licenziatili, ebbi la forza, derivante sempre dall´entusiasmo, di trascorrere l´intera notte accoccolato sul terriccio davanti ad esso. mandai uno degli uomini ad avvertire il Carapezza di scendere l´indomani all´alba con le funi, le lampade e tutto il materiale preventivamente acquistato. Avevamo anche il "filo di Arianna": questo era costituito da una matassa di spago robusto lungo duecento metri sul quale avevamo precedentemente segnato col colore delle tacche a distanza di un metro l´una dall´altra. Chi entrava in grotta ne reggeva un capo sicché da fuori, contando le tacche rimaste, si poteva stabilire la profondità di penetrazione».
Comincia in quell´estate del 1936 l´avventura dell´esplorazione. Passo dopo passo, si procede per un centinaio di metri nelle viscere con le torce e con le lampade ad acetilene.
Dopo aver rinvenuto diversi reperti antichi, cocci, frammenti di vasi e anfore poi montati, Collisani avverte le autorità. Nelle missive traspare tutto il fuoco del suo entusiasmo. La soprintendenza della Sicilia, che allora aveva sede a Siracusa, risponde con una nota assai gelida con cui si consiglia al giovane di «mettere acqua nel vino», come dire ritornare sobrio dopo la sbornia. Per fortuna il direttore del Museo Salinas di Palermo Paolino Mingazzini lo prende sul serio e si attiva per aprire immediatamente gli scavi. In due campagne vengono disseppelliti così centinaia di reperti, alcuni dei quali oggi sono ospitati nella sala "Grotta del Vecchiuzzo" al Salinas e altri nel Museo civico di Petralia intitolato proprio a Collisani, museo fortemente voluto dal sindaco Santo Inguaggiato, discendente di quell´autore della "Historia di Petralia Sottana", che aveva ispirato le ricerche nella montagna.
Cominciano le ipotesi, c´è chi ritiene la grotta una struttura abitative - e tanti segni lo farebbero supporre - e chi no. Collisani in qualche modo se ne distacca. Trasferito a Palermo per lavoro, dove amministrerà giustizia per tanti anni come pretore, mantiene col proprio paese un rapporto di amoreodio. Il disamore è alimentato dai metodi di scavi attivati nella seconda campagna. I responsabili rimuovendo tutto, a suo dire, avrebbero compromesso la possibilità di analisi successive più mirate.
La febbre dell´arte lo ha però irrimediabilmente contagiato. Comincia a collezionare di tutto, soprattutto cimeli antichi, greci, romani, apre una galleria d´arte che diventa uno dei cenacoli dei Palermo frequentati da Leonardo Sciascia in quei fermenti di fine Novecento. Restaura reperti e gioca facendo l´attore. Si cimenta con la pittura, quando capisce che i risultati sono modesti smette e si lancia nella critica; sostiene infatti che non c´è miglior critico del pittore fallito, perché conosce la tecnica e non ha velleità competitive.
«A me e mio fratello Giuseppe - dice la figlia Amalia - sono rimasti circa trecento pezzi della sua collezione. Quando papà è morto a 76 anni nel 1987 ci siamo tenuti solo qualche cimelio per ricordo e abbiamo dato tutto il resto in comodato d´uso al Museo civico di Petralia a lui intitolato. I pezzi più pregiati sono i vetri policromi provenienti probabilmente da Bagheria. Era un vulcano. Ed era talmente circondato da oggetti, antichi e moderni, che in casa non c´era posto per altro».
Forse è per una rivolta contro gli oggetti che Amalia e Giuseppe - ai quali il Comune di Petralia, questa estate darà la cittadinanza onoraria - hanno fatto un mestiere immateriale, studiosi di musica, che libra nell´aria senza corpo.

sabato 23 luglio 2011

Raffigurazione popolare dell'Ebreo Errante

                                                        Raffigurazione popolare dell'Ebreo Errante

giovedì 30 giugno 2011

Spring procession of Ljelje/Kraljice (queens) from Gorjani



The Procession of Queens is performed by the young girls of the village of Gorjani in the Slavonia region of north-east Croatia every spring. The girls in a group are divided into ten ''kraljevi'' (kings), who wear sabres and mens hats, and about five ''kraljice'' (queens), who wear white garlands on their heads like brides. On Whitsunday (a feast in the Christian calendar), they process from house to house, performing for the families they encounter.

giovedì 23 giugno 2011

Immagine popolare russa

                                                               Immagine popolare russa

lunedì 6 giugno 2011

MIS AMOUR - Fabrizio De André con i Troubaires de Coumboscuro



Un canto tradizionale del XIV secolo realizzato nel 1995 dal gruppo occitano Troubaires de Coumboscuro, con Fabrizio De Andrè.

domenica 29 maggio 2011

Il culto del vino raccontato da 180 reperti
ANTONELLA GAETA
MERCOLEDÌ, 18 MAGGIO 2011 LA REPUBBLICA - Bari

Palazzo Simi, nel borgo antico di Bari, ospita la rassegna dedicata alla divinità magnogreca. Fino al 20 novembre, ingresso libero

In Magna Grecia si moltiplicavano editti per limitare l´uso improprio, solitario e non controllato di vino (quel che oggi chiameremmo alcolismo). «La consumazione rientrava in una pratica rituale, andava bevuta collettivamente e, se si rispettavano le prescrizioni religiose, poteva garantire l´ebbrezza e la vita eterna» spiega Antonio De Siena, soprintendente per i Beni archeologici della Puglia. Il Dionisismo, il culto dedicato a Dioniso, talora fu visto dai cristiani come pericoloso antagonista in quanto capace di promettere la vita oltre la morte. Miti, immagini, produzione, commercio, rituali legati all´antica bevanda compongono, in 180 meravigliosi reperti, la mostra "La vigna di Dioniso. Vite, vino e culti in Magna Grecia", allestita fino al 20 novembre a Palazzo Simi, nel centro storico di Bari (aperta tutti i giorni dalle 9 alle 19,30, ingresso libero; info 080.527.54.51). L´esposizione è stata inaugurata ieri sera, insieme ai nuovi spazi della direzione regionale per i Beni culturali, da De Siena e dal nuovo direttore per i Beni culturali della Puglia, Isabella Lapi. Come lei stessa ha ricordato, insieme alla direttrice del MarTà, Antonietta Dell´Aglio, si tratta di una riedizione della mostra realizzata nel 2010 nel complesso tarantino, con sostituzione e aggiunta di nuovi pezzi.
«Raddoppiare e, quando possibile, rinnovare le mostre è una pratica proficua e frequentata all´estero ma molto meno in Italia. Questo ne è sicuramente un esempio e non è detto che finisca qui, ci potrebbe essere un terzo capitolo fuori dalla Puglia per questa mostra». E il percorso espositivo che conduce attraverso i pezzi-capolavoro della raffinata e gioiosa "vigna di Dioniso". Coprono quattro secoli, dal V al II avanti Cristo e provengono dai principali siti regionali, in particolare da Taranto, Rutigliano, Ceglie del Campo e Cavallino. Nelle teche, i vasi destinati al simposio, crateri oinochoai, kantharoi, kyliokers, corredi funebri e le incredibili figurine fittili provenienti da Egnazia.

lunedì 9 maggio 2011

danza intorno albero

                                                        danza intorno albero

domenica 8 maggio 2011

Gnomi e Folletti

Gnomi e Folletti
Gnomi e Folletti

giovedì 28 aprile 2011

Natura e sentimento l´epica popolare delle donne selvatiche

La Repubblica 23.4.11
Manna e miele ferro e fuoco
Natura e sentimento l´epica popolare delle donne selvatiche
Il nuovo libro di Giuseppina Torregrossa cerca la complicità del lettore Con una scrittura tutta al femminile rappresenta un´eroina coraggiosa
Leonetta Bentivoglio

Giuseppina Torregrossa è una scrittrice tutta "al femminile", senza esitazioni di genere: non s´immagina una sua sola riga scritta da un uomo. Nelle sue storie miscela pancia e cuore. In più è siciliana, e come la maggior parte dei suoi conterranei percepisce quest´origine come "la" radice esistenziale. Ogni sua pagina esprime sicilianità, intesa come sentimento della natura poderosa dell´isola e come istinto irrinunciabile del proprio territorio; e quest´aspetto è una linfa che addensa ulteriormente la sua scrittura grondante di femminilità. Il che equivale a una spiccata devozione per il materico, a una complicità materna con il lettore (c´è una sorta di melodia cantabile e cullante nel suo narrare speziato da zone dialettali) e a un incedere pervaso da odori, sapori, giochi tattili e flussi di emozioni interne. Quasi ossessivo il suo affondo nella sensualità, con persistenti accensioni veristiche.
Quest´amabile signora, che ha lavorato a lungo come ginecologa curando tumori al seno (notizia utile per capire il rapporto con il corporeo che impregna la sua scrittura), ottenne un bel successo un paio d´anni fa con Il conto delle minne: un tenero quadro di famiglia (sicula, ovviamente) guidato dal filo conduttore di un´esaltazione del seno femminile, che conquistò notevoli cifre di vendite e dieci traduzioni all´estero. Ora, con Manna e miele, ferro e fuoco, in uscita per Mondadori, l´autrice palermitana, senza rinunciare alla sua impronta, si è posta obiettivi più ambiziosi.
Se il libro precedente era un´affettuosa fiaba mediterranea, con venature di biografismo e tratti esilaranti, l´attuale storia non solo si lancia nell´invenzione pura, senza appigli documentari o soggettivi, ma sembra volersi misurare con l´impianto "classico" del romanzone popolare femminile. Perciò è sospinto da un´eroina coraggiosa, oppressa dai soprusi di un contesto maschilista e a poco a poco in grado, dopo un gran succedersi di sofferenze, di ricostituire la sua dignità e il suo libero arbitrio: una rivendicazione che deve molto a un contatto intenso con le forze naturali, come in certe figure di donne selvatiche e possenti create da Isabel Allende.
Mira in alto anche lo sfondo scelto per Manna e miele, ferro e fuoco, la cui vicenda, ambientata tra i boschi delle Madonie, si sviluppa nel momento-chiave della transizione verso l´Unità d´Italia, col crollo del regno borbonico, l´impresa di Garibaldi al Sud e l´instaurarsi del governo sabaudo nel Meridione. Gli accenti amari e disillusi sui destini della Sicilia, osservati durante l´arduo passaggio, sembrano cogliere spunti da I Viceré, non a caso il libro prediletto dalla Torregrossa. E pure l´arco di tempo attraversato, da metà Ottocento agli anni Ottanta dello stesso secolo, è il medesimo del capolavoro di De Roberto.
Ma gli accadimenti storici sono solo una cornice: il motore della trama è il personaggio di Romilda, seguita dalla nascita alla maturità. La madre Maricchia sognava una figlia femmina, e quando arriva, ultima dopo tre maschi, se ne innamora alla follia, trasmettendole molte certezze su se stessa. Il padre Alfonso, quasi uno stregone, è "u mannaluoro": il suo mestiere è estrarre dai frassini la manna, una sostanza rara e preziosa usata come dolcificante e prodotta nel triangolo compreso tra Castelbuono, Cefalù e Gangi. Romilda cresce all´aria aperta e ha una bellezza fuori dall´ordinario. E´ una fata in sintonia con le più solide e inconoscibili correnti della terra, una regina che fiorisce nel verde e tra gli alveari: le api diventano le sue migliori amiche e le sue ancelle. Dal padre impara il segreto magico della manna, da raccogliere scortecciando i tronchi: arte chirurgica riservata ai maschi, esige destrezza e sapienza. Romilda se ne appropria così bene - meglio dei suoi fratelli - che diventerà la prima mannaluora femmina delle Madonie.
Spezza l´incanto il barone di Ventimiglia, un orco vecchio e incattivito dal brutale esercizio del potere, che la vuole in sposa quando è poco più di una bambina. Comprata e schiavizzata, Romilda patisce ogni notte gli assalti del marito come stupri. La sua energia si sgretola, il suo corpo è un tempio profanato. E quando partorisce due gemelli non riesce ad accettarli. Poi però, dopo un succedersi di morti e varie disavventure, ritrova la strada delle sue montagne e si riconcilia con il battito profondo della vita.
Lungo il romanzo abbondano gli amplessi, ora goduti ora subiti, e sempre esplorati con malizioso gusto anti-censorio del dettaglio. Il sesso incombe al positivo e al negativo: tanto è turpe quello del barone ai danni della sua moglie-bambina, quanto è armonico e ricco di risonanze quello che unisce fino alla vecchiaia i due umili e appassionati genitori della ragazza. Ed è la sponda più felice dell´eros a vincere nell´epilogo, quando Romilda, splendida e rigogliosa tra i suoi frassini come una dea della fertilità, si fa possedere, finalmente consapevole e partecipe, dal giovane Lorenzo.
Tra manierismi e squilibri strutturali, l´affresco serba comunque la gradevolezza di un abbraccio, e sa ancorarsi con abilità a un´intera mappa di perni seduttivi: trionfo della superiorità "naturale" della donna; fervido culto ambientalista; femminismo addolcito fino alla stucchevolezza (manna e miele ci inondano a ogni passo); il tema intramontabile del fascino del selvaggio.

sabato 23 aprile 2011

Raffigurazione popolare di magia nera in un disegno di Auguste Donnay

                             Raffigurazione popolare di magia nera in un disegno di Auguste Donnay

raffigurazione delle medicina popolare

                                                             raffigurazione delle medicina popolare

martedì 12 aprile 2011

Stambecco - Folklore della Slesia

                                                      Stambecco - Folklore della Slesia

domenica 10 aprile 2011

Copertina delle Villanesche alla Napolitana

                                                       Copertina delle Villanesche alla Napolitana

giovedì 31 marzo 2011

Calendario Veronese 2011

Calendario Veronese 2011

scaricabile gratuitamente su:
"Questo calendario veronese 2011 prende in considerazione tutte quelle usanze e tradizioni folcloristiche, nonchè i proverbi ed i modi di dire legati ai vari giorni e periodi dell’anno. Ogni avvenimento annuale era infatti segnato da azioni che si dovevano compiere e da cose che invece non si dovevano fare, ed alcune di queste usanze non sono ancora completamente scomparse."

mercoledì 30 marzo 2011

TRADIZIONI NEL CALENDARIO CONTADINO

Alberto Guidorzi
TRADIZIONI NEL CALENDARIO CONTADINO
Editore Sometti

Questo libro nasce dal desiderio di raccontare per iscritto la svolta epocale vissuta nel mondo agricolo dalla generazione nata durante la guerra; è il racconto di come la gente contadina sia riuscita a superare tale cambiamento. Questa é l’ultima generazione che lo può fare, avendolo vissuto, e che può testimoniare come da un modo di vivere durato millenni, in poco tempo si sia passati alla nascita di un nuovo mondo completamente diverso, che ha dato certamente più risorse, ma ha sradicato molti individui dai luoghi dei loro antenati.
«Tradizioni nel calendario contadino» ripercorre, in estrema sintesi, l’ancoraggio astrale del calendario, la sua storia, la sua importanza anche in epoche e civiltà diverse dalla nostra. Si parla inoltre del calendario liturgico perchè era questo che scandiva il vivere in campagna, la religiosità popolare fatta anche di agganci storici che affondano nel paganesimo; i proverbi legati alla campagna, ai santi e alle feste, le tradizioni ancestrali, le credenze, le superstizioni, il tramandare orale.
Si tratta di un'opera originale nel suo genere, perché l'immaginario popolare viene raccolto attraverso la lettura del calendario - il lunario, appunto - e delle stagioni.
Un'ulteriore nota di pregio è data dalle illustrazioni ad hoc di Vittorio Bustaffa, artista ormai di livello internazionale che ha prestato la sua matita per impreziosire la pubblicazione.
Il libro è di circa 370 pagine, nel formato di cm 17 x 24, ed è suddiviso in tre parti:
la prima, "Riferimenti astronomici e astrologici", descrive il sole e i pianeti, i movimenti della terra, la luna e le sue fasi, la sfera celeste e le costellazioni.
La seconda, "Storia del calendario", ne descrive l'evoluzione: dalle origini nelle antiche civiltà, alla definizione delle suddivisioni, fino ad arrivare al nostro ed altri calendari in uso.
Ad ogni mese dell'anno è dedicata una sezione ad hoc, con tutte le tradizioni legate a date particolari che vengono spiegate e raccontate per capirne l'origine.
La terza ed ultima parte riguarda il calendario liturgico e tradizioni popolari: ad ogni mese dell'anno è dedicata una sezione ad hoc, con tutte le tradizioni e consuetudini legate a date particolari, che vengono spiegate e raccontate per capirne l'origine e l'evoluzione.

Il calendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale

Il calendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale
Piercarlo Grimaldi, Editore Franco Angeli

La temuta fine del mondo (contadino) avviene esattamente un millennio dopo i timori apocalittici dell'anno mille.

La società contemporanea assiste alla scomparsa di una cultura che ininterrottamente, di generazione in generazione, ha trasmesso il suo sapere orale e gestuale. E' pertanto indilazionabile raccogliere le ultime testimonianze della cultura tradizionale.

In tale contesto si colloca questa ricerca condotta sul terreno per diversi anni in una vasta area collinare e montana del Piemonte e della Provenza, volta a recuperare ed analizzare le feste e i riti connessi ai tempi eccezionali e a quelli quotidiani del lavoro contadino, ancora vivi e presenti nella memoria degli anziani.

Questo tessuto rituale che si presenta relativamente compatto all'inizio del nostro secolo permette di ricostruire i ritmi costitutivi del calendario delle campagne.

Un tempo della tradizione scandito dallo scorrere delle stagioni, ciclico, quantitativo, etnico, che appare influenzato in particolare dall'astro lunare.

Il contadino osserva l'estrema variabilità della luna che governa il fluire del tempo calendariale e riconosce in essa influssi positivi e negativi.

A questi ritmi che condizionano la natura e l'uomo, la gente si conforma per affrontare e superare le incertezze connesse al lavoro dei campi e all'esistenza precaria e drammatica delle campagne.

giovedì 17 febbraio 2011

La vita campestre

                                                                 La vita campestre

sabato 5 febbraio 2011

Lavori con l'arcolaio

                                                            Lavori con l'arcolaio

domenica 30 gennaio 2011

Buffone in un carretto tirato da asini

                                                           Buffone in un carretto tirato da asini

sabato 29 gennaio 2011

La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali

Vittorio Lanternari
La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali
Edizioni Dedalo

L'autore, partendo dal confronto tra le più varie società tradizionali di cacciatori, pescatori, allevatori, coltivatori e pastori nomadi in diversi continenti, rappresenta il senso del Capodanno, inteso come festa del principio, momento di massimo impegno per la vita individuale e collettiva, nel quale l'uomo deve propiziarsi con preghiere, riti e doni la successiva tappa della sua esistenza. In realtà, questo excursus tra le suggestive forme mitico-rituali della vita religiosa nelle civiltà di livello etnologico è il punto di partenza per uno studio storico-comparativo che si propone d'interpretare l'orizzonte problematico e cruciale delle relazioni tra i fatti religiosi e le componenti ambientali e socio-economiche che determinano, in definitiva, il sistema di produzione nelle realtà via via esaminate. L'indagine tocca infine il problema della genesi di alcuni importanti temi culturali e religiosi propri delle grandi civiltà antiche del Mediterraneo e del vicino Oriente, da cui è nata la civiltà occidentale. La grande festa costituisce così una mirabile sintesi tra etnologia e storiografia, feconda di richiami all'antropologia economica e all'ecologia culturale, che ne fanno uno dei «libri più importanti della cultura del Novecento, uno dei dieci libri da salvare del secolo XX», come sostiene lo stesso Sanguineti nella sua prefazione.

martedì 25 gennaio 2011

fuochi magici si accendono nelle campagne romagnole

Cultura - fuochi magici si accendono nelle campagne romagnole (scanagatta)

Dal 26 febbraio al 3 marzo nelle province di Ravenna, Forlì e Ferrara prende vita “Lòm a Merz”, un’antica e affascinante tradizione popolare contadina. Per l’uomo, e in particolare per l’uomo-agricoltore più vicino alle forze della natura e per questo più dipendente dalle manifestazioni climatiche non facilmente prevedibili, la Primavera ha sempre assunto il valore di “tempo del propiziatorio”. In questo contesto il fuoco acquistava il significato simbolico di presenza necessaria al dialogo con le forze vitali e creative della natura.
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I nomi di Orione. Le parole dell'astronomia tra scienza e tradizione.

I nomi di Orione. Le parole dell'astronomia tra scienza e tradizione.
Paola Capponi
Marsilio, 2005.

Nei nomi degli astri e delle costellazioni si riflette lo sguardo che l'uomorivolge al cielo. Seguendo la loro formazione e la loro storia, l'autriceanalizza le denominazioni popolari tuttora attuali che sono radicate nellaciviltà contadina, accanto alle parole della scienza astronomica, dando formacosì a un quadro composito, in cui si intrecciano paganesimo e cristianesimo,Oriente e Occidente, scienza e tradizione popolare. Guida in questa prova dilettura sono i nomi di Orione, una delle costellazioni più note findall'antichità e ancor oggi tra le poche a essere riconosciute da contadini emarinai. Un percorso volto a comprendere il rapporto tra l'uomo e il cielo e acogliere le ragioni del mutamento che esso ha avuto nell'ultimo secolo.

lunedì 24 gennaio 2011

Feste agrarie russe. Una ricerca storico-etnografica

Vladimir Ja. Propp
Feste agrarie russe. Una ricerca storico-etnografica
Edizioni Dedalo

Attraverso un approccio storico-materialistico, il libro ricerca l'originario significato di feste popolari e di riti di origine molto antica che sono stati ripresi dal cristianesimo e fatti coincidere con le feste religiose da esso introdotte, e che continuano a perdurare ancora oggi nelle diverse culture anche indipendentemente dalla fede religiosa: il cenone di Capodanno e di Natale; i travestimenti di Carnevale; la settimana grassa, l'uovo e la colomba di Pasqua, l'accensione rituale di falò, ecc. I riti e le feste russe sulle quali soprattutto l'autore lavora, consentono, grazie alla loro arcaicità, di fissare regole generali di studio. Considerando le singole feste non in maniera isolata, ma all'interno del sistema costituito dal ciclo annuale, Propp mostra come anche per questi riti sussiste un legame costante fra forme di lavoro e forme di pensiero: questo genere di feste popolari non religiose ha un'origine agraria, è collegato ad antiche forme di sviluppo e organizzazione del lavoro agricolo e si spiega sulla base dei bisogni e delle necessità delle società contadine.

domenica 23 gennaio 2011

Coltelli d'Italia. Rituali di violenza e tradizioni produttive nel mondo popolare. Storia e catalogazione

Coltelli d'Italia. Rituali di violenza e tradizioni produttive nel mondo popolare. Storia e catalogazione
Giancarlo Baronti
Franco Muzzio Editore 

Questo libro non si limita ad indagare minuziosamente gli aspetti della produzione materiale nel corso del secolo passato, ma affronta compiutamente anche le profonde implicazioni sociali e culturali che il coltello ha assunto e per lungo tempo ha mantenuto in Italia. Alla versatilità insita nelle potenzialità formali e materiche dell'oggetto, nel nostro Paese si è unita un'ulteriore valenza: il coltello è stato il segno crudelmente e ferocemente esibito di una radicata e diffusa violenza, l'emblema di una frammentata ma pullulante aggressività. "Spada del popolo" è stato romanticamente definito il coltello. Durante buona parte del secolo scorso nelle regioni centro-meridionali del Paese, non c'è uomo del popolo che nel proprio coltello accuratamente scelto, soppesato e provato al momento dell'acquisto, non veda il segno tangibile della propria umana e virile consistenza, della dignità e dell'orgoglio personali. Le leggi restrittive sulla fabbricazione, sulla detenzione e sul porto dei coltelli, indotte dal crescente aumento dei reati di sangue, hanno determinato la scomparsa di molte comunità artigiane, da secoli dedite alla lavorazione dei ferri taglienti. La situazione oggi è profondamente cambiata. Superata la fase del rifiuto del cattivo passato, si sta provvedendo alacremente a riallacciare i fili lacerati delle antiche tradizioni artigiane.