venerdì 18 gennaio 2008

Il culto della purezza e il potere del sacrificio

Corriere della Sera 18.1.08
Il culto della purezza e il potere del sacrificio
Dagli Atridi all'Africa, se il sangue «lava»
di Maria Serena Natale

«Lo zio Wu», raccontano gli abitanti di Zhenping, era molto superstizioso e non riusciva a togliersi dalla testa quell'antica leggenda taoista del vecchio che ritrova gloria, potenza e longevità possedendo fanciulle vergini: alla centesima, si narra, l'uomo avrà recuperato la forza perduta. L'atto sessuale come attingimento della pienezza vitale nell'unione dei principi dello yin e dello yang, potenziato dal valore rigenerante della verginità.
L'idea del sangue che lava torna in tempi e culture differenti. In sé, il sangue è da sempre simbolo di vita ed energia (Odino, il dio nordico di guerra, sapienza e poesia, sparge sangue di re per far fiorire le messi); quello verginale, purifica e santifica. Accade nel mito greco, nella casa degli Atridi: i figli di Tieste massacrati dallo zio Atreo; la figlia sopravvissuta, Pelopia, violata dal padre per volere dell'oracolo; la nascita di Egisto, vendicatore di Tieste. Ed è sempre di vergine il sangue più gradito agli dei nei sacrifici, nell'Aulide di Ifigenia (salvata all'ultimo momento da Artemide), come nell'impero degli Inca. La purezza è attributo della divinità: Cibele genera l'universo «senza conoscere maschio », Atena «fugge talami». Immacolata sarà Maria, il corpo gravido di quell'unico, assoluto «sì».
Che nel sangue «incontaminato » la comunità veda il tramite privilegiato con la fonte della vita o lo strumento per esorcizzare la mancanza originaria, la nostalgia dell'integrità perduta che è il tratto fondamentale dell'esperienza umana, il valore attribuito alla verginità dice del ruolo della donna in un preciso sistema antropologico e sociale, rimandando a quel nodo fondamentale che è, in tutte le culture, il corpo femminile, la sua «funzione», i limiti imposti al potere terribile che detiene, dare la vita. Verginità come valore socioeconomico. Scelta, anche, scrive la femminista americana Hanne Blank nel suo ultimo libro Virgin. The Untouched History, dalle sante e badesse che nelle società patriarcali imparano a «usare» il corpo come merce di scambio per affrancarsi da una condizione di inferiorità e accedere al potere. La verginità, ha insegnato Elisabetta I, è politica.
In un'Inghilterra molto diversa da quella elisabettiana, il Regno di Vittoria, l'originaria fede nel valore catartico del sangue verginale si tradurrà nella più scientifica «cura delle vergini», rapporti sessuali contro le malattie veneree (ripescata dai «cattivi» de La grande rapina al treno, il romanzo di Crichton ambientato nel 1855). Nel '900 la «terapia» è esportata in Africa. Due anni fa il Girl Child Network Project ha lanciato in Zimbabwe la campagna «Le vergini non curano l'Aids. È un mito », per dissuadere i guaritori dal prescriverla agli ammalati, il 25 per cento della popolazione. Sulle piccole salvatrici, esistono solo stime.